Arte contro il disimpegno. Giovani curatori crescono
Militanti magari no, ma nemmeno chiusi nella torre d’avorio dell’art pour l’art. Tre giorni di simposio, a Bergamo, per confrontare le voci e le visioni di chi, rigorosamente under 35, si dà al mestieraccio del curatore. Esperienze che si riflettono e si incontrano lungo i sette mari e i cinque continenti: l’arte scotta ancora, se la si prende dal basso.
È tutto un brillare di audaci montature di occhiali: riverberano dal bianco crema all’azzurro intenso, passando per il cremisi; e si specchiano, a volte tirate per i capelli, con maglioncini arancioni e calze multicolor, vezzosamente esibite sotto vestiti minimal.
Hanno un certo stile i curatori e le curatrici del terzo millennio, tanto che non stupirebbe trovare nelle loro borse, insieme ad Artforum, una copia di Vogue. Tanta forma, certo, ma anche tanta sostanza. Gente seria quella che Alessandro Rabottini e Sofìa Hernàndez Chog Cuy hanno portato a Bergamo e recluso per tre giorni nelle segrete della Gamec per la quarta edizione di Qui. Enter Atlas, simposio che invita professionisti under 35 al confronto di procedure metodologiche e pratiche di lavoro. Riflessioni da vivere e condividere, traino ottimale per la competizione che vede cinque firme contendersi l’EnterPrize: al vincitore l’allestimento completo del progetto espositivo portato in Gamec, vernissage a settembre 2012 e copertura dei costi garantita dalla famiglia Bonaldi, che onora così ogni anno la memoria di Lorenzo, collezionista attento e appassionato.
Nove gli ospiti del simposio: a rappresentare l’Italia Vincenzo de Bellis (Peep-Hole, Pastificio Cerere et alia) e Luigi Fassi, direttore dell’ar/ge kunst Galerie di Bolzano; per il resto un meltin’pot di autentici cittadini del mondo: si va dal colombiano Inti Guerrero, di stanza a Hong Kong, alla libanese Marwa Arsanios; passando per il Messico di Jorge Munguia e la Grande Mela di Prem Krishnamurthy e Sohrab Mohebbi.
Difficile che un bambino, interpellato sul fatidico tema del “cosa farai da grande”, tiri fuori dal cilindro il mestiere del curatore. Agli ospiti del simposio viene chiesta invece la piena catarsi, la regressione all’infanzia della propria cultura e il confronto con la mostra – vista o anche solo studiata – che più ha lasciato il segno nel loro modo di approcciare il lavoro. Consegna furbescamente avvincente: lo spazio del dibattito si fa tremendamente vicino a noi, le edizioni di Biennale e Documenta cui ci si riferisce sono ancora in quel limbo che le fa troppo vecchie per la cronaca ma troppo giovani per l’analisi. Eppure la conversazione magicamente decolla: impossibile tracciare un filo conduttore che cucia insieme tutte le esperienze; passa come elemento collettore l’urgenza, diffusa, di essere presenti e partecipi dell’altalena di rapporti di forza che il mondo vive. Porte aperte alla cronaca, attenzione a un’arte – a un modo di viverla, raccontarla, favorirla – che va a braccetto con la sociologia e si appoggia (ma non si basa!) sui nuovi media, strumenti efficaci ma non esclusivi.
Mette implicitamente in guardia dai facili entusiasmi Viktor Misiano: insieme al padrone di casa Giacinto Di Pietrantonio e ad Alex Farquharson, direttore del Notthingham Contemporary, è tra i giurati di EnterPrize; a lui spetta chiudere la tre giorni con un intervento che attinge tra le altre, come prevedibile, all’esperienza di presidente della Fondazione Manifesta. Il variegato e affascinante carrozzone che sparge per l’Europa i nuovi semi dell’arte è un possibile e fortunato modello per i giovani curatori che puntano a incrinare, pur con approcci metodologici impeccabili, i farraginosi meccanismi tradizionali: attenzione però a non farsi prendere la mano, sembra ricordare Misiano, quando cita tra il serio e il faceto i diversi motivi di frizione tra curatori alla base di storture – anche recenti – del sistema Manifesta.
Un monito che, ci si augura, faccia proprio Fredi Fischli: classe 1986, nato a Zurigo, ha firmato con il contributo di Niels Olsen il progetto che si porta a casa il jackpot di EnterPrize e che tornerà a Bergamo, in allestimento, il prossimo autunno. Con Studiolo Stages gli spazi della Gamec vivranno del contrasto tra la ricostruzione dell’intima dinamica umanistica propria – appunto – degli studioli e la negazione/affermazione di spazi di grande appeal per la cultura di massa del nostro tempo.
Forze fresche, dunque, nel campo di battaglia dell’arte. Che in Italia, è bene ricordarlo, si stringe ancora attorno ai suoi veterani: solo grazie alle dimissioni del governo Berlusconi siamo usciti dalla querelle sulla presidenza della Biennale di Venezia, contesa tra Giulio Malgara (73 anni) e Paolo Baratta (72). A decidere sulla Biennale di Istanbul, evento istituzionale che glorifica la riconosciuta esplosione della Turchia nel panorama artistico internazionale, è Bige Ören. Una donna. Che di anni ne ha 38.
Francesco Sala
Il programma del convegno (PDF)
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