“Viviamo in un tempo in cui cucinare può essere uno splendido modo per esprimere se stessi”: sta scritto nella Lettera aperta ai cuochi di domani che nove chef (tra cui Ferran Adrià, René Redzepi, Massimo Bottura, Michel Bras e Heston Blumenthal: insomma, il top del top della cuocherìa globale) hanno firmato in settembre in occasione di Mistura, il principale festival gastronomico dell’America Latina, che si svolge a Lima, in Perù. Ma c’è dell’altro. Cucinare è un esercizio creativo. Può essere una banalità affermarlo, ma la conferma sul campo proviene dall’età media sempre più bassa degli chef rinomati. Un po’ – per fare dei paralleli che ci tornano sempre comodi per sintonizzare i rapporti tra universo food e arte – come accade per gli artisti, con una rincorsa ai giovani che ormai dura da quindici anni a questa parte. Ne sa qualcosa, ed è solo un esempio, Matias Perdomo, trent’anni, origini uruguaiane e già chiacchierato come lo chef più creativo di Milano. La sua cucina è quella di Al Pont de Ferr, trattoria sui Navigli, diventata il laboratorio di Matias, dove si sfogano creatività e si sperimentano ricette. Con un occhio puntato su Girona e sulla cucina del ristorante El Celler dei fratelli Roca, il giovane cuoco inventa piatti ormai sulla bocca di tutti. Come la ormai famosissima Cipolla di Tropea Caramellata che ha presentato anche in occasione dell’ultima edizione del Taste of Milano.
Ma anche senza avere il giacchino da chef e il toque in testa, sono migliaia i giovani che hanno scelto il cibo come materia creativa: “Noi li chiamiamo foodies, sono i gourmet del 2000: giovani (non più i benestanti di mezz’età), soprattutto maschi, appassionati di cucina. Sono attivi, hanno un blog, cucinano e viaggiano. Fanno chilometri per provare ristoranti e scovare prodotti e produttori”, ci dice Francesca Riganati, responsabile della formazione al Gambero Rosso. E sono sempre in aumento i partecipanti ai tanti corsi che Francesca organizza alle Città del Gusto (cucina, ma anche food photography, decorazione, organizzazione eventi). “Quelli che noi proponiamo”, continua la Riganati, “sono corsi amatoriali, ma la speranza di molti è quella di cambiare vita, di fare della propria passione un mestiere. I foodies sono un popolo con una passione violenta.”. Violenza che si sfoga nelle piattaforme che il Gambero Rosso ha a Roma, a Napoli e, da pochissimo, anche a Catania.
Passione creativa che non si estrinseca solo dietro ai fornelli, ma anche dietro una macchina fotografica, una tastiera, o tramite il design, come nel caso del corso di Progettazione di Food Concept Store, organizzato dallo IED a Milano. “Il cibo si appropria sempre più di spazi inusuali, diventa una nuova forma di intrattenimento, si trasforma da protagonista fisiologico a oggetto pleasure e negli ultimi anni sta nascendo un nuovo desiderio che necessita di nuovi spazi e forme di consumo. Le aspettative commerciali e del consumatore crescono. Sempre di più il rapporto tra cibo e design sperimenta ambiti insoliti, forme inedite, il concetto di cucina a vista sta scardinando la classica visione del ristorante, mettendo “in scena” quella parte, fino a ieri nascosta, spettacolarizzandone tutte le fasi di preparazione e rendendone un evento unico”, racconta Consuelo Radaelli, docente IED. Che, quando le chiediamo di dettagliarci le caratteristiche del corso, aggiunge che i lavori sono incentrati “sullo svolgimento di un progetto di uno spazio dedicato alla ristorazione. Lo studente ha la possibilità di scegliere fra tre tipologie di food space concept differenti, ognuno dedicato a un target specifico, indicato dai docenti”. Ma i discenti porteranno a compimento effettivamente tutta la progettazione? “Assolutamente sì! Il progetto dello spazio sarà completato dalla progettazione di tutta l’immagine coordinata, dalla scelta del logo al design dei prodotti venduti, dal packaging dell’imballaggio a quello dell’esposizione e della vendita”.
Percorsi dove il cibo viene trattato come materia prima e di sperimentazione, un mondo in evoluzione. Avanguardia utilizzata come veicolo di formazione per dare avvio a percorsi professionali che siano anche percorsi culturali.
Martina Liverani
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
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