Musei. Riflessioni sui direttori di domani
Sono nati vent’anni fa o poco più. Sono destinati a dirigere i nostri musei, a valorizzare il nostro patrimonio culturale. Ma come vengono formati? Che strumenti offre l’Italia ai futuri direttori? Una testimonianza dall’interno. Chiara e precisa. All’indomani della VII Conferenza Nazionale dei Musei d’Italia.
Quando negli anni ‘90 i direttori si interrogavano su quale potesse essere la forma di gestione più adeguata per guidare i musei in una società che stava mutando rapidamente, sembrava che le uniche professionalità degne di essere chiamate in campo fossero due: gli storici e i manager.
Appartengo alla generazione di coloro che hanno superato tale dicotomia e che credono che la gestione dei musei non debba essere affidata né agli uni né agli altri. Non ai primi poiché spesso non possiedono le competenze economiche indispensabili per gestire i musei in modo sostenibile, non ai secondi perché mancano di quella sensibilità umanistica che sta alla base dell’istituzione museale e che deve costituire il punto di rifermento obbligato per qualsiasi manovra all’interno della stessa.
Appartengo alla generazione di coloro che, nati tra il 1987 e il 1992, sono entrati all’università in un momento drammatico, caratterizzato dal susseguirsi di riforme che hanno distrutto i cardini di un sistema scolastico che certamente andava modernizzato, ma che ora sembra un vero e proprio campo di battaglia.
Appartengo alla generazione di coloro che credono nella museologia come disciplina degna di autorevolezza, e questa coscienza ci spinge a credere che saranno i professionisti istruiti in questo ambito i soli che potranno permettere ai musei italiani di sopravvivere alla situazione di dura crisi che si apprestano ad affrontare. Ovvero coloro che, a seguito di una laurea triennale, si specializzano nell’ambito dei Museum Studies, termine con il quale nel mondo accademico internazionale ci si riferisce a interi corsi di laurea, non a singoli esami. Per permettere all’istituzione museale di sopravvivere mantenendo uno statuto etico e sostenibile, nel mondo (in Italia no di certo) sono state istituite intere facoltà che offrono corsi di laurea in tutte le professionalità che si trovano a operare all’interno dei musei. Questi corsi di laurea costituiscono la messa in pratica di tutti i principi e le linee guida offerte da ICOM e che sono scaturite dal dibattito museologico degli ultimi anni. Sono una risposta concreta alla Carta Nazionale delle Professioni Museali, approvata anche in Italia, ma che non trova alcuna applicazione in ambito accademico, specialmente in quei campi che valorizzano i contenuti del museo e che, mediandoli al pubblico, permettono alla storica istituzione-museo di stare al passo con i tempi.
Appartengo quindi alla “generazione futura” per cui molti di coloro che lavorano oggi nei musei si sono battuti e che dovrà affrontare le prossime battaglie, ma lo scenario che si annuncia è duro e non siamo armati adeguatamente.
La nostra generazione due carte vincenti però le ha avute: spetta a noi decidere se giocarle in favore dell’Italia oppure no. Noi abbiamo “visto il mondo” e siamo i figli delle nuove tecnologie. Parliamo quindi le lingue straniere e sappiamo mettere il web e i social network al servizio della cultura. Anche se non abbiamo i mezzi economici per viaggiare nei musei di tutto il mondo, siamo aggiornati in tempo reale su ciò che vi accade e siamo al corrente delle iniziative che nel mondo vengono intraprese nei musei, varchiamo virtualmente le loro porte e discutiamo con le persone che contribuiscono ad avvicinare il museo al visitatore.
Questo per dire che a noi non interessa se il 77% delle persone che visitano i musei italiani ne escono soddisfatte, perché ci accorgiamo che, a livello internazionale, la qualità della visita al museo è superiore. Non certo perché il patrimonio del Bel Paese abbia nulla da invidiare; anzi, l’Italia nono possiede forse oltre il 40% del patrimonio culturale mondiale?
I dati, al di fuori di un contesto, non significano nulla. Sarebbe da verificare, tanto per cominciare, quanti di quei “visitatori soddisfatti” sono turisti, a cui molto spesso non interessa che il museo valorizzi le opere: a loro basta vederle per essere soddisfatti. È questa la funzione che devono svolgere i musei italiani? Contenitori di opere fuori dallo spazio e dal tempo?
È alla luce della VII Conferenza Nazionale dei Musei d’Italia che nascono le mie preoccupazioni, soprattutto considerate le allarmanti considerazioni fatte dalla comunità scientifica nazionale e pubblicate da ICOM sotto forma di appello. Se in passato la conferenza aveva permesso di compiere dei passi in avanti in favore dell’istituto-museo, maturando soluzioni concrete, quest’anno si è “ridotta” a una ricostruzione storica senza alcun dibattito. Si è ritenuto doveroso fare un excursus storico sui 150 anni della museologia italiana, senza tener conto del fatto che alla nuova generazione che avrà presto il compito di gestire quel patrimonio non è data l’opportunità di imparare a farlo. Noi non vogliamo essere né degli storici né dei manager, ma dei professionisti museali in grado muoversi in questi istituti. Per questo non ci accontentiamo dell’offerta formativa attuale, dove però trovano spazio corsi di laurea che coniugano arte ed economia senza criterio, con piani di studio che sembrano più delle liste della spesa con esami scelti a random dal banco della cultura e dell’economia che dei veri corsi di laurea. È per questo che, se vogliamo essere istruiti nella disciplina che amiamo, siamo costretti ad andare all’estero.
A tutti coloro che hanno già varcato le soglie delle università, andare all’estero per specializzarsi appare come l’unica opzione, perché il Paese con la più alta concentrazione di beni culturali non propone loro nessuna valida alternativa. Resta da chiedersi se, una volta terminati gli studi, torneranno in Italia. E a quel punto, quando la crisi economica avrà fatto il suo corso e si farà il punto della situazione (speriamo non debbano trascorrere altri 150 anni), si vedrà quanti ne rimarranno degli oltre 5.000 musei italiani.
Avendo a cuore l’inestimabile valore di questi ultimi, credo spetti a ICOM Italia il compito di battersi affinché si creino le giuste opportunità formative. Chissà, forse il nuovo governo potrebbe dare ascolto a questa proposta, che è una risposta all’appello lanciato da ICOM “per dare una risposta coraggiosa alla crisi”. Speriamo che non si debba attendere un altro anno per poterne discutere.
Nicole Moolhuijsen
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