Chi sono gli artisti contemporanei? Cosa dicono? Cosa fanno? Come vivono?
La televisione è ancora per eccellenza e per definizione il medium dove la cultura di massa viene diffusa. Il problema principale della televisione è quello di essere considerato da coloro che la propongono uno strumento populista. Si perde la dimensione dello spettatore e tutto si unifica sotto l’idea di collettività dispersa, cercando di coprire le esigenze di molti, per far si che la comunicazione sia al servizio di pochi. Spesso nei circuiti del sistema dell’arte si sente dire “io la televisione non la guardo mai”. Anche se alcuni dichiarano di non utilizzare il telecomando, credo che questo mezzo ci appartenga e coinvolga sul piano sociale, sia implicita o esplicita l’azione del guardare.
Recentemente mi sono soffermato ad osservare come viene delineata la figura dell’artista contemporaneo all’interno del panorama catodico. Negli USA, dove la cultura televisiva presenta eccessi e avanguardie, siamo alla seconda stagione di The Work of Art: il reality in cui si dipana la sfida al miglior artista contemporaneo. Il format è prodotto dalla celebrity Sarah Jessica Parker, che vanta nell’ultima stagione di Sex& the City nientemeno che la compresenza di Marina Abramovic. The Work of Art, anche se ha al suo interno dei veri e propri operatori del settore come Simon De Pury, Jerry Saltz e molti artisti famosi, ribadisce ed enfatizza una lunga serie di stereotipi pericolosi attorno alla figura dell’artista. Come in ogni reality che si rispetti, i selezionati hanno delle storie tristi e sono facili al pianto. Nel loro semplice definirsi “artista” è già implicito e necessario un carattere ribelle o borderline che porta a diversificarli dal resto società e a fare di loro un fenomeno da osservare.
Trovo questa seconda stagione noiosa, mentre nella prima mi ha colpito Nao Bustamante, performer newyorchese che critica dall’interno l’impostazione stessa del reality. Non a caso, a mio avviso, una volta scoperta la ‘performance’ di Bustamante, i creatori del format hanno pensato bene di eliminarla durante una sfida in cui l’artista utilizzava proprio il medium a lei più consono. Inoltre, Bustamante non era del tutto estranea a questo tipo di strategia: bastava infatti ricordarsi delle sue apparizioni al Joan Rivers’ Show per ben comprendere un tipo di critica estranea alla logica del reality. Tutti gli altri partecipanti, nonostante ci sia stato anche un vincitore premiato con una mostra al Brooklyn Museum, sono già ritornati nella sfera dell’oblio. Considerare il processo artistico come una sfida marcata da vittorie e fallimenti, mi fa subito pensare che i partecipanti a The Work of Art potrebbero ben presto entrare nel gruppo dei rovinati dai reality, alcuni dei quali sono stati immortalati nel 2006 da Phil Collins.
Passiamo dai reality alle fiction. Come già detto, Jessica Parker mostra che si tratta solo di distinzioni di forma e non di contenuto. In Desperate Housewives – Season 8, il personaggio di Susan si trasforma da insegnante per bambini ad artista di talento, capace di creare esprimendo la parte oscura del suo Io, che non può confessare apertamente. A farle da mentore c’è un artista affermato, interpretato da Miguel José Ferrer, che ovviamente incarna in sé tutto il malessere e la decadenza che si può collegare al sintomo della creatività. Divertente la figura del gallerista che quando scopre il ‘talento’ di Susan è convinto che il suo rifiuto ad esporre sia solo una strategia per accattivare il pubblico e incrementare la figura dell’artista maledetto.
Infine vorrei dare uno sguardo a quello che si dice nel nostro Belpaese, dal momento che “modestamente” noi di televisione ce ne intendiamo. In Italia le dinamiche non sono molto diverse, ma condite da un’estetica trash e rumorosa. Italians Got Talent ha visto la vittoria di Fabrizio Vendramin un “artista” capace di dipingere al contrario. Vendramin ha subito affermato che il premio servirà per aprire una scuola per ragazzi ai margini che vogliono esprimere la propria creatività. Ritroviamo qui due elementi forti del connubio Arte-Tv: la pittura come unica espressione veramente degna della definizione “Arte” e soprattutto il cammino travagliato proprio di ogni artista, che per questo motivo si differenzia della “gente comune”.
In ultimo non vogliamo né possiamo dimenticare la figura del critico, colui in grado di dire chi è artista e chi non lo è. Ecco allora che la certificazione la puoi comprare da Andrea Dipré, un mix tra Vanna Marchi e Vittorio Sgarbi. Come lui stesso afferma “il Dott. Avv.” Andrea Diprè è anche avvocato. Il dott. avv. Andrea Diprè è convinto che la maggior parte degli artisti di cui continuamente sentiamo parlare non siano che un piccolo, marginale, non rappresentativo aspetto di una realtà infinitamente più complessa e variegata che, con i suoi umori, le sue esuberanze, i suoi furori, sta in penombra.
Pier Paolo Pasolini, che all’inizio degli anni ‘70 si occupò del mezzo televisivo, scriveva: “La responsabilità della televisione è enorme. (…) Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi.” (Sfida ai dirigenti della televisione, “Corriere della Sera”, 9 dicembre 1973). Attraverso la televisione assistiamo a un modello non parlato ma – come lo definisce Pasolini – “rappresentato”, che invece di promuovere la diffusione di una cultura contemporanea, radicalizza l’artista nei suoi stereotipi più sbagliati.
Jacopo Miliani
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