Chiuso per coscienza. Il direttore di Riso si difende
Il dado è tratto, ma il nodo non è sciolto. Smontata la mostra in corso, Riso è ormai vuoto. Fermo. Niente esposizioni, laboratori, concerti, conferenze. Eppure la faccenda resta poco chiara. Dopo la campana di Missineo, ecco quella del direttore Alessandro. Sta a voi mettere insieme i pezzi e immaginarvi una logica, un senso, magari anche un finale.
Lo hanno chiamato Cittadini per il Museo Riso, il movimento sorto all’indomani dell’annunciata sospensione delle attività dell’istituzione siciliana. Una cellula di artisti, curatori, operatori culturali mossi da preoccupazione per le sorti del museo e riunitisi in assemblea permanente tra le mura del Palazzo. Immediato il sostegno della città, pronta a scagliarsi contro la solita politica disattenta e disonesta. Poi, la smentita dal Governo regionale: i fondi europei arriveranno, ma intanto la direzione aveva quelli ordinari. Perché chiudere?
Nonostante l’intervista rilasciata dall’assessore Missineo ad Artribune non brillasse per chiarezza e puntualità, qualche dubbio in giro è spuntato: strumentalizzati, ingenui, poco lucidi, i rivoltosi palermitani potrebbero essere caduti in una trappola. Se dietro tutto questo si celasse, di nuovo, la peggiore politica possibile? Manovre occulte, per un polverone senza reali basi. Mentre il direttore Sergio Alessandro, denunciato nel frattempo dal Dirigente Generale Gesualdo Campo per la cosiddetta “chiusura” del Museo, non sarebbe che una pedina, un galoppino, un capro espiatorio.
Ma spesso la verità sta in superficie. Le oscure dinamiche legate all’assegnazione dei fondi europei, i ritardi clamorosi, la burocrazia come ostacolo e arma, i cantieri imposti dall’alto, l’autonomia che non arriva, i budget troppo esigui, l’impossibilità di calendarizzare e di contare su gestioni amministrative agili: queste, forse, le “semplici” cause del gesto-denuncia.
Un museo sofferente, dunque, chiuso per sfinimento, indignazione, senso di responsabilità. E una vicenda che non si esaurisce nel problema dello spazio in sé (chiudere o salvare Riso) ma che potrebbe esser letta come una battaglia contro un sistema malato, un modello vetusto, una cortina di ferro fatta di ingerenze politiche, intrallazzi, incompetenza, bizantinismi burocratici, incertezza perenne sul futuro. I cospicui fondi triennali e il passaggio a Fondazione? L’ultima speranza per fare il salto di qualità. A un certo punto svanita, evidentemente.
A Palermo ormai è guerra. Dai quotidiani locali si apprende stamattina che il Dirigente Campo l’ha denunciata per “interruzione di pubblico servizio e danni all’erario”. Come stanno le cose e come si difende?
Mi sono già rivolto alla magistratura per tutelare in tutte le sedi la mia dignità e la mia reputazione contro queste affermazioni, non vere e gravi. Io non ho mai fisicamente chiuso o fatto chiudere il museo.
Il presidente Lombardo e l’assessore Missineo hanno comunque subito negato la veridicità di questa chiusura sul piano istituzionale. Diciamo che si tratta di una momentanea sospensione, comunicata dalla Direzione per ragioni contingenti? Perché questa decisione estrema? Era necessario?
E’ evidente che la realtà istituzionale continua a esistere, ma attualmente non è nelle condizioni di svolgere attività espositive, in primis per l’apertura del cantiere. Inoltre un museo che da mesi non ha notizie dei progetti finanziati con i fondi comunitari, per tempo programmati, non può essere in grado di assumere impegni concreti con soggetti e istituzioni nazionali e internazionali, con i quali si erano attivati contatti per la programmazione. Senza contare che per via dei ritardi nelle procedure di erogazione dei fondi (i progetti dovevano partire lo scorso novembre), se anche questi fossero resi disponibili adesso, si metterebbe il museo nelle condizioni di organizzare una decina di mostre, e spendere 12 milioni di euro, secondo scadenze ormai divenute molto prossime.
E veniamo proprio alla questione cantiere…
Trattasi di un cantiere imposto dalla Soprintendenza e che peraltro, come più volte ribadito, è difforme da quello finanziato dal MISE nel 2004. Un cantiere che prevede la ricostruzione al grezzo di due elevazioni…
In che senso “al grezzo”?
Nel senso che, secondo progetto, si tratterà di una mera scatola muraria, provvista di tetto: gli ambienti saranno privi di qualsiasi finitura e di impianti. Molto più utile sarebbe stato, come sempre sostenuto nelle interlocuzioni con la Soprintendenza e il Dipartimento, procedere secondo la scheda-progetto approvata dal MISE nel 2004.
Scheda-progetto che prevedeva cosa?
Operazioni di restauro, recupero del corpo basso, sistemazione degli spazi esterni, installazione di un ascensore, manutenzione degli infissi e degli impianti e creazione di piccoli spazi per gli uffici.
Una delle ragioni che hanno portato alla sospensione delle attività museali è il fatto che si ritenesse il cantiere incipiente d’ostacolo allo svolgimento delle attività stesse. Lo conferma?
Sì, un cantiere che prevede una ricostruzione “filologica” di due piani, con complessi interventi strutturali (quali quelli richiesti dal Genio Civile), posso affermare da tecnico che risulta assai incompatibile con la regolare accoglienza del pubblico e con lo svolgimento di attività espositive a tutto campo, incluse opere en plein air nelle corti del museo, eventi live, laboratori didattici, conferenze, performance… Ovvero, tutto quello che Riso ha sempre offerto alla città e che ha portato un pubblico vastissimo ed eterogeneo. Sicuramente meno invasivo, invece, il progetto del MISE.
Sul piatto, ieri pomeriggio, sono stati messi 490mila euro per il 2012. Non saranno i 12 milioni della Comunità Europea, ma è comunque una cifra. Ne sapevate nulla o è una cosa che si sono usciti dal cappello, all’ultimo momento? Il bilancio della Regione risulta essere ancora preventivo…
Dell’esistenza di questa somma ho appreso la notizia ieri dalla stampa: si tratta di un bilancio che, come tutti sanno, deve essere ancora approvato in aula (e in ogni caso parliamo di cifre che di anno in anno hanno subito modifiche, anche rilevanti). Ne consegue che, allo stato attuale, non si possono fare spese se non in “dodicesimi”, utilizzando cioè circa 40mila euro per ogni mese: va da sé che in queste condizioni è impossibile portare in esecuzione progetti per cifre più alte rispetto a quelle spendibili mensilmente. Impossibile dunque partire da subito con un progetto di ampio respiro, come quelli studiati da un anno a questa parte e presentati sulla base dei fondi europei 2007-2013.
Dunque, nell’attesa, dovreste accantonare i megaprogetti presentati per i Po-Fesr. 490mila euro e tutto da rifare al volo, pena il museo vuoto?
Il finanziamento regionale sarebbe certamente cospicuo considerando anche i tempi di crisi in cui si trova tutto il Paese. Ma questo non è confrontabile – non solo in termini di spesa, ma anche in termini di “utilità strutturale” intrinseca – con i finanziamenti comunitari: è noto infatti che il fine dei fondi comunitari è quello di far sistema e creare sviluppo, non attività episodiche. E il tentativo del museo è sempre stato quello di creare e incentivare il sistema dell’arte contemporanea, non fermandosi alla singola mostra. Questa, finalmente, era l’occasione giusta.
Si parla di strumentalizzazione. Qualcuno ha visto dietro questo polverone specifici interessi di Gianfranco Miccichè, scagliatosi ora in un’accorata difesa del museo, con tanto di pesanti offese al “nemico” Lombardo. Cosa risponde al sospetto di manovre politiche?
La nascita di Riso è notoriamente riconducibile all’esperienza di Sensi Contemporanei, avviata nel 2003 da un accordo tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Biennale di Venezia, le Regioni e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, allora capeggiato da Miccichè. Questo fatto, tuttavia, non esclude che i vari assessori avvicendatisi negli anni ai vertici dei Beni Culturali non abbiano visto in Riso un centro d’eccellenza da promuovere e sostenere. Trattasi quindi di un bene comune, da difendere a prescindere dalle appartenenze politiche. Che poi la politica, di qualunque colore essa sia, possa sposare una causa giusta, a mio avviso non è da leggersi necessariamente come una strumentalizzazione.
Per quel che mi riguarda posso dire che parlano per me la mia storia e il mio lavoro di questi anni, svincolato da interessi di natura politica. Se mi sono esposto con questa decisione difficile, pur sapendo che ne pagherò le conseguenze, l’ho fatto in coscienza, come cittadino, professionista e onesto dirigente della Regione.
Helga Marsala
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