Obiettivo Cantieri. Palermo riparte?
Negli Anni Novanta il miracolo, la riconversione dell’immenso ex complesso industriale in una straordinaria cittadella dell’arte. Dopo pochi anni, l’inizio della fine. I Cantieri alla Zisa crollano poco a poco, per diventare oggi il luogo simbolo dell’abbandono e della sconfitta palermitana. Una tre-giorni di protesta apre il 2012 e rilancia l’impegno civile di chi, ancora, crede nella forza di quel miracolo.
E dopo il Valle e il Macro a Roma, e poi il Pac a Milano, la corrente rivoltosa dell’arte travolge anche Palermo, scesa in campo per difendere gli ormai leggendari, nonché compianti, Cantieri Culturali alla Zisa, alias ex officine Ducrot. Non un’occupazione, ma un weekend di incontro e dibattito per riflettere sul presente e il futuro di questa cittadella fantasma, megastruttura comunale – 24 capannoni, per un totale di 55mila mq – condannata a un destino di decadenza.
Si apre così, nel segno della militanza e del risveglio civile, questo 2012 panormita, in linea con l’ondata di contestazioni che da mesi, su scala internazionale, sta segnando l’avanzare di una clamorosa crisi politico-economica. Perché a un’economia che vacilla, o che addirittura implode, non può che corrispondere un sostanziale smottamento del relativo sistema culturale: laddove si toglie nutrimento ai cervelli – rigorosamente in fuga – non si fa che sottrarre linfa a un intero organismo sociale. La situazione italiana resta, in tal senso, esemplare.
E veniamo al capitolo Sicilia e all’affaire Zisa. L’impressione è che si galleggi in mezzo a una palude, un deserto di idee in cui grettezza, pressapochismo e vocazione mafiosa si sposano con un diffuso senso di rassegnazione. La resa si trasforma in rimedio preventivo: sopravvivenza equivale a indifferenza, dinanzi a un potere che avvilisce e annichilisce, conducendo alla paralisi dei portafogli e delle coscienze.
È per questo motivo che l’iniziativa promossa dal comitato indipendente I Cantieri che vogliamo suona come un incoraggiante exploit corale, nutrito di rinnovata consapevolezza.
Un sogno troppo breve
Ma facciamo qualche passo indietro. L’inaugurazione dei nuovi Cantieri, splendido esempio di archeologia industriale recuperato per fini artistici, risale al lontano 1996. Erano i tempi di quel “rinascimento palermitano” capitanato da Leoluca Orlando, con il suo impegno per un centro storico vivo e pulito, i caffè-concerto, i festival, il teatro di ricerca, le grandi mostre. Ormai solo una parentesi nostalgica, che confonde il ricordo con l’utopia, la rabbia col disincanto.
Nei padiglioni, in parte restaurati, si sono avvicendati nomi del calibro di Thierry Salmon, Carlo Cecchi, Franco Scaldati, Ciprì e Maresco, Roberta Torre, Letizia Battaglia, Langlands & Bell, Bob Wilson, Philip Glass,Richard Long, Carsten Höller, Rosemarie Trockel, Ilya & Emilia Kabakov, mentre prendevano vita memorabili manifestazioni quali l’Immagine leggera, Palermo di Scena o il Festival sul Novecento.
Poi, dopo qualche anno, il passaggio amministrativo a destra e un repentino, tragico the end, tra menefreghismo, sperperi, tagli, corruzione, scelte infelici e un progressivo appiattimento intellettuale. I Cantieri, a cui la giunta Orlando non aveva conferito la solidità di una Fondazione o di un’Istituzione museale, si svuotano poco a poco, cadono in pezzi, diventano una monumentale discarica. Resistendo, nel disinteresse generale, come un pachiderma in agonia. Qualcuno, nel tempo, riesce infatti ad avere in concessione quei pochi ambienti ancora agibili (o quasi): dal Centro Culturale Francese al Goethe Institut, dal Teatro Biondo alla Scuola Nazionale di Cinema, fino all’Accademia di Belle Arti. Recentemente messo a nuovo, infine, il capannone 19, 2mila mq destinati a ospitare il Museo Euro-Mediterraneo d’Arte Contemporanea. Tutta teoria, al momento. L’assenza di fondi e di volontà ne ha fatto un inquietante mausoleo, consacrato al fallimento e all’invisibilità.
Per il resto, anni di abbandono e strafottenza, in un tragico impasse che da solo dà la misura di quella che è stata – ed è ancora – una triste stagione di declino politico, civile e culturale.
Cantieri bene comune
Nel dicembre 2011 I Cantieri che vogliamo riporta l’attenzione sulla questione Zisa. Dopo una lettera aperta al sindaco uscente Diego Cammarata, una idealmente indirizzata al futuro sindaco, un paio di manifestazioni e un’attività più o meno costante di informazione sul web, il gruppo arriva a questa nuova azione, ancor più allargata e incisiva.
Lo spunto che ha riacceso gli animi e alimentato la protesta è stata la pubblicazione, da parte del Comune, di un bando in forma di “invito a manifestare interesse aperto per la gestione e la ristrutturazione di alcuni Padiglioni dei Cantieri Culturali alla Zisa”, rivolto a imprenditori e società private. I padiglioni “dovranno essere adibiti per almeno il 70%, ad eventi culturali, musicali, ricreativi e per la percentuale residuale, ad attività di supporto come: caffetteria, ristorazione, bookshop”. Costi totali a carico dei soggetti proponenti, a cui verrebbe concesso l’utilizzo della struttura per un ventennio.
Il documento, sorta di “indagine preliminare” per testare l’interesse di eventuali investitori, ha suscitato la preoccupazione degli attivisti pro-Cantieri, contrari a questa svendita al miglior offerente dei dieci padiglioni liberi, “senza regole e senza vincolarli all’utilizzo pubblico, come andrebbe fatto in quanto bene comune”. Da qui l’invio al Sindaco, tramite uno studio legale, di una diffida, di cui già oltre mille cittadini risultano firmatari.
Ma, assodata la necessità di chiarire in maniera scrupolosa le finalità culturali e l’utilità pubblica del complesso Cantieri, è davvero così folle l’idea di condividerne i destini con un privato, scommettendo su servizi e attività capaci di produrre anche economia? E chi mai potrebbe prendersene carico, se non un consorzio di società o un colosso imprenditoriale? Ad oggi, Palermo versa in acque che definire cattive è un simpatico eufemismo: ormai a un passo dal dissesto finanziario, il Comune come potrebbe rimediare la spropositata cifra necessaria a rimettere in sesto una location immensa e che parte da zero? Non c’è un organico, una struttura, un progetto avviato. Non c’è niente di niente, se non cumuli di macerie e memorie sbiadite.
Il futuro, in tre giorni
Nel frattempo, intorno ai Cantieri che vogliamo si è raccolta una rete di associazioni culturali, artisti, critici e intellettuali, mentre negli ultimi giorni del 2011 un gruppo di lavoro ha partecipato alla stesura di un manifesto e di un programma per la tre-giorni d’apertura del 2012. Tra il 6 e l’8 gennaio alcuni padiglioni, ripuliti dal fango e dalla spazzatura grazie a uno staff di volontari, accoglieranno un palinsesto di incontri ed eventi, animando con idee, proposte e suggestioni creative un luogo che somiglia, ormai, a un grande cimitero di cemento. Oltre a una sfilza di cinerassegne, videoproiezioni, laboratori di mimo o di cucina, eco-azioni di guerrilla gardening, letture, concerti e performance teatrali, un paio di forum di discussione si concentreranno su questioni legate al futuro dei Cantieri (con una proposta di assunzione del modello museale del Kunstverein) e, più in generale, alla gestione della cultura negli spazi pubblici.
A cosa porterà questa mobilitazione è difficile prevederlo. Palermo si prepara alle elezioni comunali e un posto come i Cantieri fa presto a tramutarsi in strategica “merce di scambio elettorale”. Da destra a sinistra, chiunque nei prossimi mesi si farà portavoce dell’agognata rinascita, sbandierando la volontà di restituire a Palermo il miracolo Ducrot. Il rischio di strumentalizzazione è sempre dietro l’angolo: chi promette di qua, chi si prodiga di là, chi vende speranze e chi compra consensi, chi insegue poltrone e chi qualche sprazzo di celebrità. Duole dirlo, ma in Sicilia i musei sono macchine che “servono” alle amministrazioni. Per cosa? Per fare e ricevere favori, per vincere le elezioni, per arraffare porzioni di finanziamenti, per ostentare potere, per tenere in pugno qualcuno. Musei abortiti, abbandonati, addormentati, dimenticati, venduti. E se c’è chi prova a sfuggire a tali dinamiche, ecco che dall’alto, prima o poi, la voce del potere si fa sentire. E così i musei appaiono e scompaiono, come se aprissero o chiudessero dei centri commerciali; oppure vegetano, quasi si trattasse di graziosi optional.
Il destino dei Cantieri? È solo un dettaglio. Perché la vera domanda riguarda il destino di Palermo. Siamo davvero, fino in fondo, un paese per vecchi? La crisi ci costringe e intravedere una strada nuova, a scommettere sul cambiamento. Puntando su una sola parola: resistenza. Che i tre giorni della Zisa siano solo l’inizio di una nuova, lunga stagione di coscienza e di speranza.
Helga Marsala
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