The End. A Palermo chiude il Museo Riso
Dopo il weekend caldo dei Cantieri Culturali alla Zisa, una bomba arriva su Palermo. Chiude il Museo d'Arte Contemporanea della Sicilia, come comunicato poche ore fa dalla Direzione. Niente fondi, niente certezze, niente futuro. Una lunga stagione di lavoro e di progetti giunge al termine. Scandalosamente.
La notizia arriva come un macigno. Giusto al termine della tre-giorni di protesta e riflessione organizzata in sostegno dei Cantieri alla Zisa, vergognosamente condannati all’abbandono dieci anni fa da un’inetta amministrazione comunale, ecco un altro scandalo che cala su Palermo come un’ombra scura, inquietante.
Il Museo Riso sospende le sue attività e lo comunica ufficialmente con un messaggio asciutto, stringato eppure commosso, pieno di un rammarico che è tanto grande quanto l’incredulità di tutti: operatori culturali, giornalisti, artisti, curatori, ma soprattutto cittadini.
Così se ne vanno al macero anni di lavoro e impegno, profusi per donare finalmente alla Sicilia un polo museale con una precisa vocazione per il contemporaneo, un primo museo del presente dotato di una struttura e di un organico efficienti, di professionalità competenti, di una calendarizzazione a lungo termine, di una progettualità, di un respiro internazionale, di una necessaria autonomia rispetto alle solite ingerenze politiche che, d’abitudine, hanno scandito le (scarse) attività degli spazi isolani per l’arte.
Anche questo può accadere, in Italia: in un soffio tutto scompare, implode, crolla su se stesso, spazzando via il futuro e il passato, al di fuori di ogni logica storica e civile.
I motivi? Semplici. Non ci sono soldi. Riso non ha più un euro per programmare iniziative, mostre, laboratori, collaborazioni, residenze. Ma nemmeno per pagare gli stipendi allo staff di operatori che in questi anni hanno portato avanti, tra mille sabotaggi istituzionali e altrettante trappole burocratiche, questo piccolo museo-miracolo.
E però, l’eco di quell’altra notizia-bomba è ancora fortissimo: “il Museo più ricco d’Italia”, lo avevano definito pochi mesi fa, noi di Artribune. Per via di quei dodici milioni e mezzo di euro ottenuti dalla Comunità Europea tramite i Po-Fesr 2007-2013, che sarebbero dovuti servire per importanti interventi strutturali e per una ricca programmazione triennale.
E qui il condizionale è d’obbligo: come noi stessi avevamo lasciato intendere già allora, in un articolo che sollevava diversi dubbi rispetto ai destini di questo finanziamento, i soldi, ahinoi, non sono arrivati e (vien da pensare) mai arriveranno.
Regolarmente ottenuti tramite un duro lavoro di progettazione, i fondi europei sono “bloccati” in Regione. E non si sa perché. Riso, dunque, si vede costretto a chiudere i battenti non, come di solito avviene, per mancanza di budget, ma perché di euro, in questo caso, ce ne sono fin troppi.
Nel frattempo arriva dall’amministrazione la “scusa” che giustifica la chiusura, ovvero l’apertura di un cantiere per la realizzazione, secondo quanto voluto dalla Soprintendenza, di strutture di sopraelevazione che, di fatto, bloccheranno le attività espositive per chissà quanto tempo. Un tempo che, secondo i piani di chi dirige i giochi dentro le camere di Palazzo, sarà scandito dalla solita dimenticanza, distrazione, rassegnazione; un tempo che servirà per far evaporare quei denari, per farli perdere per strada assieme ai relativi progetti (regolarmente presentati in conferenza stampa lo scorso novembre), per deviarli chissà dove, chissà verso cosa, chissà in favore di chi. In questi casi, un’Istituzione libera, che utilizza realmente i soldi per lavorare, per fare, per produrre, diventa semplicemente scomoda. Il controllo, con dodici milioni di euro all’orizzonte, diventa l’urgenza primaria di chi quei milioni ha il potere di gestirli.
Eppure, stavolta Palermo è diversa. L’esperienza del movimento di lotta, impegnato per la liberazione e la restituzione dei Cantieri alla Zisa, sta portando a galla un’energia sociale straordinaria, mai vista da queste parti. Un’energia nutrita dalla rabbia, dalla stanchezza, dall’indignazione per questa gestione criminale di un “bene comune” irrinunciabile: la cultura. Sull’onda di tanta energia, la sensazione è che, stavolta, la città non starà a guardare. La sottrazione di uno spazio come Riso, che ha innescato processi di produzione culturale fondamentali per la Sicilia, non può e non deve lasciare indifferenti. Il vento di protesta che attraversa l’Italia è giunto anche al Sud. Un vento caldo che comincia a soffiare sulle tante, troppe macerie, perché un vero incendio divampi, finalmente.
Helga Marsala
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