Non ha senso portare avanti una rubrica dedicata alle strisce senza dire qualcosa su una determinata opera e il suo autore. Un’opera su cui è stata scritta ogni tipo di cosa. Un’opera che è stata analizzata in ogni sua sfaccettatura, su cui critici (o presunti tali) e recensionisti si sono spesi in lodi sperticate e letture anche troppo ardite. Un’opera che qualcuno ritiene, per il classico gioco della voce fuori dal coro, tuttora “sopravvalutata” o, nelle accezioni peggiori, un “sì, carina, dai”.
In questi casi, è inutile dire che chi porta avanti visioni simili può essere considerato o un individuo con scarsa percezione emotiva o uno pseudo-artista che invidia una sintesi narrativa che pochi hanno saputo raggiungere. O, in alternativa, ha la capacità cognitiva di un campo di verze.
La litigata/discussione perenne sul fumetto come forma d’arte/intrattenimento/giocattolo per più piccoli si trascina ormai da tempo immemore ed è sterile e alquanto noiosa. Un continuo pensare su come proporre alla massa l’idea di fumetto porta a svarioni in più ambiti, letture consigliate e maestri (o ipotetici tali) da regalare al mondo.
Per l’opera in questione si deve parlare, con toni volendo aggressivi, di imposizione. Sì, imposizione delle sue strisce. Una sorta di corso introduttivo e obbligato a un mondo infinito per chiunque voglia avvicinarsi alle nuvole parlanti e, parimenti, anche per chi cerchi di evitarle con tutte le sue forze.
Prima di maneggiare un qualsiasi volume di questo o quell’autore, è bene quindi aprire le pagine riempite dal suo inchiostro, scorrere le quattro vignette (più o meno) e ridere, pensare, affezionarsi e, molto spesso, tatuarsi le strisce nella mente, per poterle ricordarle per tutta la nostra esistenza. Perché il livello della sua poetica va oltre e vale molto più di tantissime parole spese in altrettante pagine.
Con gli oltre cinquant’anni di presenza sul mercato editoriale, con uscite su infiniti magazine e quotidiani e un continuo flusso di ristampe, la sua opera è stata consegnata all’immortalità e, al tempo stesso, è sopravvissuta solo per un singolo giorno alla dipartita del suo creatore (a differenza di altre serie portate avanti da collaboratori o parenti).
Un ringraziamento che è qui in fondo a questo panegirico che entra di diritto nelle inutili letture e discorsi fatti e rifatti su questa striscia, ma che è dovuto e sentito. Una striscia che, a distanza di anni, fa salire ancora il groppo in gola perché ricorda l’arte e la bravura di questo autore senza patria artistica.
Perché Charles M. Schulz è, e rimane, universale. E chiunque la pensi all’opposto, beh, mi spiace, e parecchio, per voi. So long and thanks for all the Peanuts!
Teobaldo Bizarra
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