Il paradosso della street art
La legge italiana riconosce valore a ogni gesto creativo di un autore di un’opera, qualunque ne sia il metodo generativo e la forma di espressione, collegando a tale tutela meccanismi di conservazione e protezione. La stessa legge, tuttavia, riconosce valore anche alla proprietà privata, alla proprietà pubblica e al decoro urbano. La cosiddetta “street art” mostra con evidenza i limiti di entrambe le tutele sopra indicate.
Quando si parla di street art in Italia viene in mente il processo iniziato nel 2010 in cui il Comune di Milano si è costituito parte civile contro Daniele Nicolosi, in arte Bros, noto writer imputato per imbrattamento di alcuni edifici della città (la stessa città che ne ha però poi esposto le opere al Pac e a Palazzo Reale). Per gli interventi di ripulitura dei 17 episodi segnalati la stima dei costi comunicata dal Comune è stata di oltre 65 mila euro. Il processo si è concluso con l’assoluzione dell’imputato.
“Che Bros si fregi del titolo di artista”, aveva precisato all’inizio del processo l’allora vicesindaco De Corato al Corriere della Sera, “poco importa al Comune e alla Procura, che infatti lo ha rinviato a giudizio. La realtà è che il diritto di proprietà è tutelato dalla Costituzione e l’imbrattamento è punito dal codice penale che prevede pure la reclusione se il fatto è commesso dopo l’otto agosto 2009. Nessuno pertanto, fosse pure un presunto esponente della street art, può pensare di alzarsi in piena notte, fare delle ‘arlecchinate’ con delle bombolette spray su edifici che non gli appartengono pensando che tutto questo sia normale e che non porti a conseguenze giudiziarie”.
A parte i termini e il “colore” con cui si sono connotate le diverse posizioni, è innegabile che la tutela della proprietà (sia essa pubblica o privata) sia garantita dalla legge, addirittura in modo rafforzato laddove oggetto di vandalismo siano palazzi, mura o luoghi di interesse culturale o con funzioni di utilità pubblica (scuole, ospedali).
Tuttavia, con la diffusione delle opere della street art e con l’ampliarsi del loro apprezzamento, la coscienza civile, e non solo quella delle giovani generazioni, ha iniziato ad attribuire a questi fenomeni un valore artistico, del tutto diverso dal vandalismo. Si è arrivati anche a valutare con meno severità (diversamente dall’inasprimento delle pene effettuato dal legislatore italiano nel 2009) i graffiti cittadini.
È emblematica in questo senso l’iniziativa del Comune di Bristol, il quale, prima di rimuovere uno stencil di Banksy ha lanciato un sondaggio su un forum online accondiscendendo a tornare sui propri passi e a conservare l’opera dopo che il 97% dei voti si era espresso a favore del suo mantenimento in loco.
Questa inversione di tendenza potrebbe portare dunque al riconoscimento alla street art di tutte le tutele connesse al diritto d’autore, fino (forse) al riconoscimento di un interesse culturale in alcuni casi. Tale tendenza deve però fare i conti con la natura di questa arte, che porta in sé la riconoscibile connotazione dell’illegalità: la maggior parte degli street artist infatti appartiene a una cerchia ristretta, e che tale vuole rimanere, di soggetti dediti a pratiche dettate da un atteggiamento se non sovversivo quantomeno di sfida nei confronti delle autorità. Inoltre, le opere di street art nascono per vivere all’interno di un contesto provvisorio, promiscuo e non tutelato.
L’opera viene riconosciuta dal diritto se ne è riconosciuto il suo valore artistico. In questo caso però la tutela che ne deriva non trova corrispondenze nella poetica dell’autore dell’opera: chi realizza un’opera in un luogo in cui è molto probabile il suo decadimento e la sua mancata valorizzazione potrà non volerne il restauro o il trasferimento in altro luogo, proprio perché assolutamente incoerente con l’atto creativo.
Il progressivo riconoscimento di tali opere come opere di valore artistico, se da un lato agevolerebbe un orientamento benevolente da parte delle autorità pubbliche, potrebbe però portare a fenomeni di conservazione e tutela non voluti e richiesti dagli autori stessi. Lo stesso Banksy, tanto per fare esempi illustri, si rifiuta di autenticare le proprie opere quando esse vengono distaccate dal luogo in cui sono state create.
Claudia Balocchini
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