L’ex-caserma Rossani di Bari: un caso di studio
La Puglia come esempio di risollevazione del Sud Italia. E Bari come esempio di città pugliese che si muove e si fa propositiva sul terreno nazionale e internazionale. Ma non sono tutte rose e fiori. C’è infatti il caso Rossani che impazza da qualche tempo. Ve lo raccontiamo dal punto di vista di un “locale”.
Bari non è una città qualunque. Non soltanto perché capoluogo di una regione alla quale si guardava qualche anno fa con speranza, quasi fossimo, noi pugliesi, i portatori di una rivoluzione nazionale, ma perché città complessa e articolata, città nella quale si sperimentano nel bene e nel male nuove possibilità di governance del territorio. Proprio di recente, ma dopo un triennio di dibattito pubblico, si è riaperto il caso della ex caserma militare Rossani.
Essa insiste a ridosso della stazione, in un sito centrale ma ancora inviolato dai flussi commerciali del centro cittadino. È una struttura da rifare, da ottimizzare, da rimettere a posto. Dentro, il verde e i volumi già si integrano da tempo, consentendo alle idee sull’uso degli spazi di circolare per la città come ossigeno. Tra il mese di novembre e quello di gennaio, a causa della presa di posizione dell’amministrazione comunale per bocca dell’attuale assessore all’urbanistica Sannicandro, la Rossani è tornata a diventare oggetto di discordia tra Emiliano e i comitati civici. Il Comune ha proposto una riqualificazione con copertura quasi totale dei costi da parte di un privato – il cosiddetto project financing – mentre i comitati intendono riqualificare l’area per step con denaro pubblico e per un uso esclusivamente pubblico della caserma. Ne sorge un contenzioso che trova in consiglio comunale un approdo e una mezza soluzione.
Grazie all’intervento della Regione, vengono stanziati 13 milioni di euro che, sommati ai precedenti 13, portano a quasi 30 milioni la somma pubblica da mettere sull’area. 30 milioni che, secondo i comitati e una parte della Regione Puglia, sarebbero utili per riqualificare un pezzo importante dell’area destinandola, finalmente, a un museo d’arte contemporanea con gestione affidata a cooperative ed enti non profit. Su questo punto si apre un altro fronte di battaglia tra il Comune e la Regione. Emiliano vorrebbe collocare il museo – in vista della candidatura di Bari a Capitale europea della cultura nel 2019 – nell’ex teatro Margherita, che ha il difetto di sorgere sul mare come una palafitta, altri lo collocherebbero nella ex Manifattura tabacchi, a ridosso del centro, in uno stabile che apparteneva all’ateneo barese e che insiste in una delle aree a peggiore percorribilità della città.
Per qualunque barese, la Rossani è il luogo ideale a ospitare un’opera siffatta: vi sono spazi verdi molto ampi, cubature che consentirebbero l’esposizione, la collocazione delle scuole d’arte e di altri servizi per il quartiere come un centro anziani, una mediateca ecc. Per una parte dell’amministrazione, invece, il destino della Rossani è anche quello di contenere un centro commerciale e una porzione di edifici privati e parcheggi. Se ancora sono accettabili i parcheggi sotterranei per i residenti, a tariffa ridotta, ci pare poco utile sacrificare parte di quel verde per qualcosa che stona con la possibilità di avere lì un parco polifunzionale e culturale. E non comprendiamo come la candidatura di Bari all’evento del 2019 non possa avere nella caserma Rossani la punta avanzata della progettazione necessaria per concorrere.
A questa opzione, sostenuta in qualche misura dal comitato cittadino, si oppone l’attuale assessore, proponendo un project financing di quasi 100 milioni di euro. La costruzione e l’impianto di un centro commerciale, di palazzine private, di parcheggi, di strutture ricettive per turisti in una città dove il turista non morde, ma fugge, è il frutto di un’altra visione della città. A Bari spesso si è confuso il mattone con il libro, il cemento con la socialità. Se non vi fossero state nuove regole, introdotte proprio da questa amministrazione, i palazzinari avrebbero costruito ovunque, deturpando quel poco che resta di una città dove soltanto gli edifici militari d’epoca sono rimasti incorrotti dalla furia del mattone.
Leonardo Palmisano
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