Requiem per Riso
Pare proprio che sia finita. Ultima – almeno per ora – puntata del Riso feuilleton. Nella diatriba tra la direzione e la compagine istituzionale Lombardo-Campo-Missineo, a perdere è, come prevedibile, il museo. Una programmazione tirata fuori su due piedi, direttamente dalla dirigenza dell’assessorato, precipita come un macigno sulla reputazione di Riso. Un passato che è già un ricordo e un presente che vorremmo dimenticare.
Finalmente è arrivata. La tanto “attesa” programmazione, annunciata tre settimane or sono dall’assessore Sebastiano Missineo, è improvvisamente piombata sul tavolo del direttore del Museo Riso, grazie a una nota inviata al servizio museografico da Gesualdo Campo, dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana.
Sergio Alessandro decide ora di vuotare il sacco e svela alle agenzie, con un comunicato-bomba, i contenuti delle direttive.
Ecco dunque l’ingegnosa soluzione calata dall’alto, quasi che la vicenda – plausibilmente riconducibile a questioni di ingerenza politica e di “controllo del territorio” – potesse risolversi con la compilazione di una scarna lista della spesa. Un modo per ovviare al provocatorio buco espositivo deciso un mese fa dalla direzione. Di che si tratta? Null’altro che un paio di esposizioni raffazzonate e di taglio provinciale, messe insieme all’impronta e raccontate in poche righe striminzite. Così si prova, goffamente, a rianimare un museo agonizzante, rimasto privo di adeguate professionalità di settore, ma soprattutto di quei 12 milioni di euro sganciati dall’Unione Europea, che avrebbero dovuto foraggiare i prossimi tre anni di attività secondo un programma di respiro internazionale.
E veniamo ai contenuti. Si parte con una retrospettiva dedicata alle rassegne d’arte contemporanea organizzate tra il 1968 e il 1989 dall’avvocato Francesco Grasso Lanza per la società Terme di Acireale; si procede poi con una mostra sull’opera grafica dello scultore siciliano Francesco Messina, composta da cinquantotto litografie e due serigrafie, attualmente in deposito presso il dipartimento dei beni culturali. Si chiude quindi con una mostra a scelta: o Più a Sud, recuperata dai progetti finanziati con i famosi fondi europei – l’unica a essere già confezionata e dunque pronta per l’uso – oppure una qualsiasi altra iniziativa di “costo contenuto”. Questa o quella, in fondo, poco cambia. Ciò che conta è sfornare un menu prêt-à-porter, che rimetta a posto i cocci e restituisca l’immagine di un museo operativo.
Un ultimo brillante suggerimento riguarda la collezione permanente, di cui si raccomanda l’immediata valorizzazione ed esposizione. Peccato che non si tratti di una raccolta museale degna di questo nome, ma di un primo, disorganico nucleo di acquisizioni, la cui richiesta di incremento, affidata a quegli stessi bandi europei, fu bocciata proprio dall’assessorato. Grande attenzione dunque per la collezione, ma solo quando serve a tappare buchi. Di ampliamenti e di nuovi investimenti, ahinoi, manco a parlarne.
E adesso? Fatta fuori (o quasi) l’attuale direzione, si profila un futuro grigiastro deciso a tavolino dai vertici della dirigenza: progetti inesistenti, privi di qualunque criterio critico-teorico e di ogni minima dimensione di internazionalità e di contemporaneità, vengono appiccicati in quattro e quattr’otto a un’Istituzione finora connotatasi per una certa coerenza e qualità progettuale.
Che ne sarà, allora, del modello di Museo diffuso, delle attività dell’archivio S.A.C.S, dei progetti didattici e dei laboratori, degli eventi in ambito teatrale, performativo e musicale, del sempre perseguito dialogo con il territorio, delle residenze d’artista in Sicilia o nel Mediterraneo, nonché dei grandi nomi internazionali costantemente coinvolti (da Lorand Hegyi ad Abdellah Karroum, da Vasif Kortun a Raimundas Malasauskas, da Hans Schabus a Pedro Cabrita Reis, da Jan Fabre a Louise Bourgeois)? Nessuna traccia di tutto questo nel triste programmino messo a punto senza l’avallo della direzione né di un comitato scientifico-curatoriale.
La storia si ripete, per quest’isola ingrata. A innescarsi sono le stesse oscure dinamiche che sette anni fa avevano interrotto il dignitoso incipit del Museo, con un governo regionale che bloccava i progetti dei comitati guida, stilati nell’ambito di “Sensi Contemporanei”: dalle mostre di Pistoletto e Surasi Kusolwong, alla nascita della permanente. Seguirono anni di vuoto, conditi da qualche misera ed esosa iniziativa (incluso lo scandaloso acquisto di 32 statue monumentali di artigianato sacro, opportunamente spedite ad Assisi), finché nel 2007 si giunse a una nuova governance interna e a un felice restart. Da allora, cinque anni di faticosa ri-costruzione, per giungere oggi a questo inspiegabile dejà-vu. Un altro arresto, un altro colpo di mano, un’altra dichiarazione di prepotenza e di incompetenza.
La risposta del direttore? Molte, troppe perplessità rispetto ai contenuti e alle modalità delle nuove direttive. Impensabile, a questo punto, che Alessandro avalli una simile proposta, equivalente a un atto di delegittimazione nei confronti del suo ruolo e del lavoro svolto. Che sia tempo di dimissioni? Parrebbe proprio di sì.
Intanto, lo scorso 26 gennaio è stato ufficialmente allestito a Palazzo Riso il cantiere per il restauro voluto dalla Soprintendenza, che doterà il museo di due piani grezzi, privi di funzione ma “utili” a una ricostruzione filologica dell’originaria struttura. Il cantiere che nessuno voleva, ma che a qualcuno premeva, è finalmente partito. E anche su questo la politica ha vinto. Almeno fino alle prossime elezioni regionali, quando i vari assetti saranno ridefiniti. Intanto, a perdere sono ancora una volta i cittadini. Quella società civile che versa denari nelle casse dello Stato, aspettandosi in cambio servizi di alto profilo, esempi di gestione trasparente, iniziative radicate nel presente e fondate su una reale esigenza di crescita e di sviluppo. Ed ecco invece il primo vero centro d’arte contemporanea della Sicilia, tirato su con fatica e tra mille impedimenti, tramutarsi nell’ennesimo museo-contenitore. Un altro baluardo del potere, piegato agli interessi di pochi e sottratto ai desideri dei più. Tutto cambia, affinché nulla cambi. Come da copione, nel peggiore dei film possibili.
Helga Marsala
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