Ha un atrio modestissimo l’UMAG di Hong Kong. L’ho scoperto grazie al tour a cui è costretto chi vuole visitare la più prestigiosa università dell’Isola. Il tour parte ogni giorno alle 11 e il punto di raccolta è lo stretto marciapiede davanti all’ingresso. La guida arriva sempre con qualche minuto di ritardo e, visto il caldo afoso o la pioggia battente caratteristici del luogo, ripararsi nell’atrio è d’obbligo. Alle spalle di un bancone di legno, una scala curvilinea raggiunge sale un po’ scure, che destano però subito meraviglia.
L’Umag è uno tra i gioielli nascosti di questa straordinaria megalopoli e visitarlo è decisamente più emozionante che percorrere gli spropositati spazi del musei sparsi intorno a Tiennamen a Pechino o le dieci nuovissime gallerie del Museo di Shanghai. La University Museum and Art Gallery è un edificio costruito nel 1932 e conserva poco più di 1.000 pezzi tra porcellane, bronzi, lavori di ebanisteria, avorio, giade, sete ricamate e dipinti di un periodo compreso tra il neolitico e l’ultimo imperatore della dinastia Quing. Tutte di squisita fattura. Il fascino di questo luogo è secondo solo a quello del Museo Nazionale di Tai Pei, dove Chian Kai-sheck in fuga trasferì nel 1949 tutto il possibile da Pechino.
Da almeno vent’anni, l’arte cinese contemporanea trova spazi crescenti nelle biennali di tutto il mondo. Art Basel ha messo radici a Hong Kong. E proprio a Hong Kong Sotheby’s realizza ogni primavera sedute d’asta da capogiro. Dell’arte antica, ai cinesi sembra però importare pochino. La Rivoluzione Culturale ha cancellato molte vestigia del passato, anche se sarebbe sbagliato attribuire alla sola “follia maoista” la desertificazione dell’antico che inesorabilmente avanza in Cina. La nuova superpotenza corre verso il futuro senza rimpianti. Il flusso inarrestabile delle merci che si muovono via mare ai piedi delle torri di vetro e acciaio di Kawoloon lascia sbigottiti. Da Hong Kong gli inglesi se ne sono andati, ma nessuno li rimpiange: Porsche e Ferrari hanno sostituito le Bentley. Mentre i sommergibili atomici cinesi saggiano quotidianamente i nervi di Giappone e Stati Uniti nel Pacifico, Prada decide di quotarsi qui. Com’è possibile? Com’è potuto succedere tutto questo in così poco tempo? Per avvicinare un Paese che resta per molti versi ancora avvolto nel mistero, una visita al Museo dell’Università di Hong Kong aiuta più di quella all’atrio della Tate, disseminato di semi di terracotta da Ai WeiWei.
Aldo Premoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
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