Tutti i numeri delle vitamine
In ossequio all’infografica-mania che impera, importiamo le nuove tendenze editoriali anche nel mondo dell’arte. E quale palcoscenico migliore del giacimento di statistiche sottostante all’analisi dei cinque libri “Vitamin” che Phaidon ha dedicato all’arte contemporanea nel corso di tutti gli Anni Zero?
551 artisti, singoli o “gruppi”, selezionati in cinque libri pubblicati fra il 2002 e il 2011. È il parterre de roi che emerge dalla serie Vitamin pubblicata da Phaidon. Inaugurata con la P di ‘painting’ (2002), proseguita con la D di ‘drawing’ (2005), il PH di ‘photography’ (2006), il 3D dell’installazione (2009), e tornata alle origini con il recente P2 (2011), nuovamente dedicato alla pittura. La tappa successiva, attesa per la fine di febbraio, sarà invece un salto al di là dei sentieri tracciati sinora, con la Vitamin Green garantita dal design e dall’architettura sostenibile.
Poiché gli artisti vengono scelti da una rosa di operatori del settore di tutto rispetto (i nomi del gotha ci sono tutti), ne consegue che analizzarne la composizione restituisce un quadro interessante nella sua evoluzione.
Fra le prime considerazioni, la più semplice concerne il bocciolo di quella già ristretta rosa di fortunati, ovvero coloro che sono stati scelti per ben due volte: Arturo Herrera, Chris Johanson, Christian Holstad, Elizabeth Peyton, Ellen Gallagher, Francis Alÿs, James Siena, John Currin, Josh Smith, Julie Mehretu, Katharina Wulff, Lucy Skaer, Mark Manders, Marlene Dumas, Matthew Ritchie, Michaël Borremans, Rachel Harrison, Richard Wright, Robin Rhode, Simon Starling, Sterling Ruby, Tacita Dean, Toba Khedoori, Trisha Donnelly, Urs Fischer, Yoshimoto Nara.
Egualmente immediato è fare il conto riguardo al genere: le donne costituiscono il 35,2%, una fetta rilevante se paragonata alla percentuale di “quote rosa” alle varie biennali. Quanto all’età, al momento della selezione i più giovani erano Devendra Banhart e Federico Herrero (24 anni), mentre la più anziana era la 96enne Carmen Herrera, seguita da David Goldblatt, di vent’anni più “giovane”. La media si attesta sui 39 anni: è questa l’età in cui, nel mondo civile, un artista entra nella fascia dei mid-career.
Nell’infografica qui sopra si possono studiare quali sono i Paesi d’origine degli artisti, e in che proporzione sono suddivisi tra maschi e femmine. Emerge una partecipazione assai esigua al sistema dell’arte da parte dell’Africa, mentre la fanno da padrone Stati Uniti e Gran Bretagna, con un terzo posto meno scontato per la Germania. L’Italia si classifica a un rispettabile ottavo posto con 13 artisti (8 uomini e 5 donne) provenienti da altrettante città e cittadine.
La seconda illustrazione evidenzia invece la densità di artisti residenti nei vari Paesi, distinguendo fra “nativi” e immigrati. Considerando soltanto la prima città nominata dagli artisti stessi nelle loro biografie, ne risulta un quadro eloquente e talora inatteso. Viene smentita la vulgata secondo la quale gli italiani emigrano in massa: dei 13 succitati, soltanto Tatiana Trouvé (che vive a Parigi ed è francese di origine) e Luca Trevisani (trasferitosi a Berlino) hanno abbandonato l’Italia, mentre dichiaravano di vivere in Italia i restanti 11, concentrati soprattutto a Milano (7, con Simone Berti diviso tra il capoluogo lombardo e Berlino). Nota dolente, l’immigrazione ridotta all’osso: soltanto Padraig Timoney si è trasferito in Italia, nella fattispecie a Napoli.
La mobilità degli artisti ha conseguenze di varia natura. Ci sono Paesi che entrano in questa classifica soltanto grazie all’immigrazione, non avendo “nativi” selezionati: è il caso della Finlandia, grazie all’immigrato norvegese Tor-Magnus Lundeby; dell’Ungheria, che sottrae alla Moldavia Alexander Tinei; del Costa Rica, dove vivono Allora & Calzadilla. Potrebbe stupire il fatto che qualcuno si trasferisca in Cina (dove gli artisti si concentrano soprattutto a Beijing): ebbene, l’arcano è svelato dicendo che Michael Lin si è spostato dal Giappone a Taiwan. Per quanto concerne i China-borned, ben 8 su 17 provengono da Vitamin P2; le donne sono soltanto 2; quanto all’emigrazione (2 vivono in Francia e 2 a New York), si tratta di una pratica interrotta nel 2006. Insomma, sono rarissimi gli artisti stranieri che si dirigono verso le nuove mete dell’arte, ovvero Cina, India e Polonia: i tre Paesi insieme totalizzano “ben” un immigrato.
Singolare la situazione della Francia, che non ostacola l’emigrazione ma altresì favorisce la “stanzialità”, nonché l’immigrazione dall’estero: in numeri, 5 nati in Francia sono emigrati, 11 sono rimasti nel Paese, 13 sono immigrati dall’estero. Anche la mobilità è contro-intuitiva: Parigi, con 16 artisti che vi risiedono, attirano sia artisti francesi che stranieri, ma ben un terzo risiede in altre città, e fra di essi c’è anche un cinese (Yan Pei-Ming), un peruviano (Armando Andrade Tudela) e uno svizzero (Adrian Schiess). Più netta la situazione tedesca: è Berlino il grande attrattore d’immigrazione sia interna che esterna, mentre città come Lipsia e Colonia calamitano soprattutto tedeschi nati in zone limitrofe (discorso che vale, mutatis mutandis, per il Regno Unito, con Londra a fare da accentratrice e realtà come Glasgow a fungere da bussola “regionale”).
Manco a dirlo, gli Stati Uniti “perdono” soltanto 6 artisti e ne acquisiscono 67, ovvero un terzo degli artisti residenti nel Paese. In totale sono 202: 40 che risiedono a Los Angeles, una trentina in altre città e i restanti, va da sé, a New York.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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