
Milano, 21 febbraio 2012, ore 11.30. Nella sede del SEC di via Castaldi, Angela Vettese incontra la stampa. Attraverso la curatrice, la Fondazione Bevilacqua La Masa illustra il programma istituzionale 2012 concernente mostre ed eventi. L’incontro verte principalmente sulle attività della fondazione veneziana, spaziando tra giovani artisti, collaborazioni con le istituzioni nazionali (Fondazione Ratti, Docva, Fondazione Vessel) e internazionali rilevanti, mostre sull’obliquità delle identità sessuali fino a personali di giovani artisti. A completamento, le abbiamo chiesto di fornire uno sguardo d’insieme sull’intero clima museale in Laguna, a seguito degli ultimi avvicendamenti ai vertici di queste settimane.
Quale impatto ha avuto o potrà avere l’avvento alla Biennale di un curatore del calibro di Massimiliano Gioni sul clima del contemporaneo a Venezia?
Massimiliano Gioni è un biennalista di lungo corso, avendo nella sua storia già Manifesta, Berlino e Kwanju. Alla Biennale di Venezia ha già lavorato quando Francesco Bonami lo volle come curatore della Zona, la versione 2003 del Padiglione Italia. Ha molto tempo davanti a sé, non viene da lontano come Storr, Birnbaum e Bice Curiger. Insomma, ha carte migliori di quelle che furono in mano a stranieri e anche ad altri italiani, come Germano Celant nel 1997, stretto nei tempi, o a Bonito Oliva nel 1993, stretto nel budget, ma pur sempre autore della Biennale con la formula più innovativa dal 1948 a oggi. Siamo tutti un po’ stanchi di una formula che si ripete ovunque e che porta dovunque le stesse persone, sia come curatori che come artisti e pubblico affezionato. Speriamo lo sia anche lui e sappia regalarci qualcosa di imprevedibile. A Milano, con il lavoro presso la Fondazione Trussardi, è riuscito talvolta a farci vedere luoghi della città quasi ignoti, anche se profondamente legati all’identità cittadina. Anche Venezia può aver bisogno di essere vista così: è una città davvero imprevedibile, dialettale e cosmopolita. Speriamo davvero: il nostro Paese ha solo la Biennale come occasione di vera visibilità internazionale e l’istituzione svolge il ruolo che dovrebbe essere svolto da cento Istituti di Cultura Italiana nel mondo.
Come sta cambiando l’interazione e il dialogo tra i musei veneziani a seguito dell’insediamento di Gabriella Belli?
Gabriella Belli si trova a operare in una città molto diversa da quella che si assopiva anche solo dieci anni fa sul Canal Grande e risponderà in modo attivo. È un luogo vivace, con continui andirivieni di artisti, curatori, collezionisti. L’arrivo di Pinault e Prada è insieme causa ed effetto di tutto questo. Ci sono quattro atenei e un’offerta culturale più forte che in una capitale. L’arrivo di un ulteriore attore nel panorama locale non può che essere positivo, se si pensa che i nove musei civici di cui è presidente sono stati per molti anni centrati più sul conservare che sul proporre. In occasione di un incontro pubblico a dicembre si è espressa in modo lusinghiero sulla Bevilacqua La Masa, della quale ha subito cercato di conoscere le attività. I tempi sono grami e cosa significhi essere un Paese povero lo sapremo solo tra qualche mese, ma una persona così volitiva può fare la differenza.
Chipperfield, direttore della Biennale di architettura, come metterà in risalto gioielli veneziani quali la stessa Fondazione Bevilacqua La Masa?
Normalmente, la Biennale e la Bevilacqua si tengono a reciproca distanza, anche se con rispetto: noi siamo una piccola istituzione con budget risibili, anzitutto; ricordiamo poi che la fondatrice Felicita volle creare questo luogo per giovani artisti locali in opposizione alle rassegne internazionali che tendono a chiuder loro le porte: è incredibile quanto sia stata capace di comprendere i poli di un dibattito culturale che è ancora attuale. Il suo testamento fu scritto nel 1898, proprio tre anni dopo la nascita della Biennale e in chiara opposizione a quella. In effetti, oggi noi lavoriamo sia con artisti del territorio che con artisti internazionali, perché una chiusura localistica sarebbe fuori dalla cornice in cui dobbiamo vivere: essere aperti all’altro non è più una scelta ma un fatto. Però, ripeto, dubito che Chipperfield ci venga a cercare.
Ginevra Bria
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