Meglio male accompagnati che soli
L’Italia ha bisogno di idee. Ha bisogno anche di chi sappia riconoscere il loro valore. E chi sappia investire su di esse, altrimenti le idee si perdono. Ma tutto questo non può più accadere, perché in Italia non esiste più la capacità di elaborare una visione d’insieme, sia da parte di chi produce le idee, sia da parte di chi dovrebbe riconoscerle.
In Italia è venuta meno la capacità di collegare campi diversi con approccio interdisciplinare, di creare, per così dire, dei ponti cognitivi. Le ultime nefaste riforme della scuola e dell’università hanno fatto saltare proprio questi ponti, assicurando all’Italia un futuro oscuro. Oscuro anche a livello socialem perché dall’interdisciplinarità deriva la capacità di pensare in gruppo e, prim’ancora, di essere gruppo. Il pensiero creativo non può prescindere da questa condizione: minando l’intelligenza collettiva si finisce per minare l’intelligenza connettiva.
La retorica del popolo di “grandi solisti” di “menti elette” che tengono alto il nome dell’Italia nel mondo ha avuto per troppo tempo una funzione consolatoria, utile solo a nascondere la reale condizione d’imbarbarimento culturale e artistico del Paese. In Italia oggi è sospetto perfino il concetto di “arte”. Persiste infatti una concezione romantico-borghese secondo cui l’arte non è un lavoro, ma uno svago narcisistico per pochi geni che, in virtù della loro sregolatezza, possono al massimo ambire a intrattenere il potere. Visione assai diffusa in cui l’arte viene interpretata come un inutile svago per compiacere se stessi, come una condizione privilegiata, non già come un’attività indispensabile per la crescita della collettività. Per il resto, “tutti siamo artisti”, tutti abbiamo questa “insopprimibile” necessità di esprimerci.
È questa malintesa idea di egualitarismo ad aver creato una sottocultura di massa in cui non è più possibile distinguere il valore quando c’è. Bisogna continuare a esprimersi ad ogni costo, anche quando non ci sono idee. È l’altra faccia del sistema della produzione che ammette l’arte come svago proprio perché alimenta, riproducendolo, il modello stesso della produzione. Invece occorrono idee vere e artista può definirsi solo chi è disposto a dedicare la propria vita a queste idee. Franco Evangelisti, il più grande compositore italiano di quell’avanguardia, elettronica e post-strutturalista, che bruciò in pochi anni migliaia di idee fino ad arrivare al silenzio, in un’eroica, irripetibile furia creativa, ripeteva che la prima cosa che un artista deve saper fare è avere un’idea. Ma quando l’idea viene non si sa ancora se è giusta per l’architettura, per la pittura, per la musica ecc. Un’idea è intuizione pura. Riconoscere il percorso che conduce alla sua realizzazione significa avere ben chiari gli ambiti e le categorie possibili e possedere realmente una visione d’insieme come potevano averla gli artisti del Rinascimento. Senza queste capacità non può esserci arte, nel senso pieno e totale in cui la intendevamo cinquecento anni fa, ma solo uno sperimentalismo sterile.
Così, dopo che sono stati sistematicamente fatti saltare i nostri ponti cognitivi e siamo stati abituati a subire quotidianamente il bombardamento dei media, ci troviamo in pieno Media Evo. Dobbiamo continuare a resistere creativamente e a lavorare per un secondo Rinascimento.
Bruno Ballardini
pubblicitario e scrittore
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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