“Il fuoco verrà e si impadronirà di tutte le cose.” (Eraclito, Dell’Origine)
“I’d listen to the words he’d say / But in his voice I heard decay / The plastic face forced to portray / All the insides left cold and gray / There is a place that still remains / It eats the fear it eats the pain / The sweetest price he’ll have to pay / The day the whole world went away”
(Nine Inch Nails, The Day the World Went Away, 1999)
Un fenomeno sotto gli occhi di tutti, o almeno di quelli che lo vogliono osservare, è la crescita esponenziale dell’aggressività collettiva. Questa aggressività, chiaramente un prodotto della frustrazione e della distanza percepita dal singolo tra i suoi desideri (più o meno legittimi, più o meno nobili) e la realtà delle condizioni quotidiane, non si traduce affatto, almeno per il momento, in sacrosanta rivendicazione dei propri diritti. Ma si consuma in una sequela di piccole, misere ripicche giornaliere; si traduce nella contumelia, nell’insulto e nell’umiliazione dell’altro (sempre il più debole, ovviamente, nella migliore tradizione arcitaliana). Cela il disprezzo di tutte le ragioni che non siano le proprie, e la concentrazione esclusiva su un io che si concepisce e si riconosce soltanto nell’autorappresentazione ossessiva e nella rimozione autistica del mondo.
“[The Wire is] a meditation on the death of work and the betrayal of the American working class … it is a deliberate argument that unencumbered capitalism is not a substitute for social policy; that on its own, without a social compact, raw capitalism is destined to serve the few at the expense of the many.”
(David Simon sulla seconda stagione della serie tv)
“I’ve seen… a lot of downturns in my life: times when we didn’t understand each other. It seems we’ve lost our heart at times. A fog of division, discord and blame made it difficult to see what lies ahead.”
(Clint Eastwood in It’s Halftime in America too, spot Chrysler, Super Bowl 2012)
“C’è sempre una scelta.”
(Eli/Denzel Washington a Carnegie/Gary Oldman in Codice Genesi-The Book of Eli, Albert & Allen Hughes 2010)
“’Brutality!’ cried Tristam. The class was at last interested. ‘Beatings-up. Secret police. Torture in brightly lighted cellars. Condemnation without trial. Finger-nails pulled out with pincers. The rack. The cold-water treatment. The gouging out of eyes. The firing squad in the cold dawn. And all this because of disappointment. The Interphase.’”
(Anthony Burgess, The Wanting Seed–Il seme inquieto, 1962)
“Ma non eri morto?”
(domanda che viene regolarmente rivolta a Snake Plissken/Kurt Russell in 1997: fuga da New York-Escape from New York, John Carpenter 1981)
“Nessuno… si fida più di nessuno ormai… e siamo tutti molto stanchi…”
(MacReady/Kurt Russell in La Cosa-The Thing, John Carpenter 1982)
La dissociazione dalla realtà è un vero casino: impedisce infatti di percepire, riconoscere e valutare i fatti – e la loro concatenazione – per quello che sono. Rende inoltre indistinguibile il “dire” che si è realizzato qualcosa (un’idea, un progetto, una promessa) dalla sua effettiva realizzazione.
“Per ora, tutto ciò che ci occorre tenere presente è che sono là fuori. I particolari meglio lasciarli per dopo. Presto si renderanno conto che Martinez non farà ritorno… che probabilmente è morto. E allora inizieranno a cercarci. Ci vorranno settimane. Forse mesi. Ma alla fine ci troveranno. Dobbiamo solo fare in modo che, quando arriveranno qua… saremo pronti ad accoglierli.”
(Robert Kirkman, The Walking Dead, vol. 6 – Questa vita dolorosa, 2009)
“Five months ago this was a map of our country. Now it’s an antique. It’s a picture of the way things used to be.”
(Emily in Jericho, serie tv, CBS 2006, stagione 1, episodio 18)
“Le tenebre stavano avanzando.”
(George R. R. Martin, Il trono di spade-A Game of Thrones, vol. 1 de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco-A Song of Ice and Fire, 1996)
“- Jim? Do you think that the end of the world will come at night time? – Uh-uh… At dawn.” (Nicholas Ray, Gioventù bruciata – Rebel Without a Cause, 1955)
“Lo sguardo è a diecimiladuecento metri sopra Milano, dentro il cielo. È azzurro gelido e rarefatto qui.
Lo sguardo è verso l’alto, vede la semisfera di ozono e cobalto, in uscita dal pianeta. La barriera luminosa dell’atmosfera impedisce alle stelle di trapassare. C’è l’assoluto astro del sole sulla destra, bianchissimo. Lo sguardo ruota libero, circolare, nel puro vuoto azzurro.
Pace.
Lo sguardo punta ora verso il basso. Verso il pianeta. Esiste la barriera delle nuvole: livide. Lo sguardo accelera.
Penetra nella muraglia delle nubi. Trema nell’impatto, mentre accelera. È un inferno freddo qui. Scariche elettriche, condensa ghiacciata, vento fortissimo, scosse, buio livido. Lo sguardo in accelerazione verso il basso si scuote, è ai limiti, la frizione del gelo è incandescente. Sembra di non farcela. All’improvviso un lampo, mentre tutto trema e tracolla. Nel lampo: l’immagine di un umano nudo, arcaico, che batte un terreno rosso con un osso bianco. Un altro lampo, tutto trema al limite. Lo sguardo vede tutto rosso. All’improvviso penetra.
Vuoto.
È sopra una città, in pura sospensione. È in una bolla. Lo sguardo vede tutta la città. La città è nera, è livida, è opaca, è inquinata. Lo sguardo galleggia sopra la metropoli. Vede emissioni gassose letali e anonime. Lo sguardo bascula, in sospensione, pare navigare, è nel liquido dell’aria. All’improvviso nuovamente accelera. Punta sulla città.
Velocissimo. Lo sguardo punta al centro della città. In accelerazione vertiginosa i palazzi, le strade, gli omìni che camminano, le automobiline che incrociano. Velocissimo. Al centro, la Cattedrale è bianca e nera, verticale. Lo sguardo devia di un minimo gradiente angolare. Non punta alla Cattedrale. Vede l’enorme cubo bianco e nero, geometrico e spaventoso, di un Palazzo. Ci va addosso. Si avvicina il muro accecante e bianco.
Lo scontro è tra una frazione di secondo.
Ecco l’impatto.”
(Giuseppe Genna, Grande Madre Rossa, 2004)
Christian Caliandro
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