Gillo e la carica dei 102 (anni)
Lo scorso giovedì è stato un giorno speciale. Ma senza schiamazzi, perché lui non apprezza che si parli troppo della sua vita privata. Gillo Dorfles ha compiuto 102 anni. E ogni occasione è buona per puntare il dito contro una critica d’arte oggi totalmente asservita alle leggi del mercato e dominata da una cultura sempre più ridotta all’osso. Al professore la parola.
Sguardo attento all’evoluzione delle dinamiche contemporanee, Gillo Dorfles rimane indubbiamente uno dei giudici più autorevoli in materia d’arte, in quanto protagonista e spettatore attivo da più di un secolo. Sì, perché oltre a essere uno dei critici più riconosciuti del panorama italiano e internazionale, è anche un artista amante delle forme libere e spontanee.
Nato solo un anno dopo la pubblicazione del Manifesto del Futurismo su Le Figaro, l’eclettico Dorfles è stato il teorico con pennello alla mano del MAC – Movimento Arte Concreta, fondato nel ’48 insieme a Monnet, Soldati e Munari. Il gruppo si riunì con il comune obiettivo di opporsi all’arte figurativa, ma anche con l’intenzione di attribuire la giusta importanza al design e all’architettura, da subito concepiti come linguaggi artistici al pari della pittura e della scultura.
Recentemente, invece, Dorfles ha ritirato il Premio Svoboda all’Accademia di Belle Arti di Macerata, ha realizzato un’opera in beneficenza per il “tempio” dell’enogastronomia Peck di Milano e ha in programma la curatela di una mostra sul kitsch alla Triennale. Dunque, l’impressione è che l’intellettuale non abbia ancora smesso di scoprire ed esplorare il mondo che in questi anni ha assorbito tutte le sue forze, in una continua lotta in difesa dell’estetica.
Nel dopoguerra il M.A.C ha dovuto fare i conti con un collasso della vita e dell’arte che il gruppo ha affrontato con la modernità. Oggi la crisi, oltre che economica, sembra essere anche di idee…
Il M.A.C è stato certamente importante, perché ha messo in evidenza tutto l’aspetto non-figurativo dell’arte. Oggi dal punto di vista estetico le cose sono completamente cambiate, quindi non c’è nessun riferimento tra quegli anni e quelli di oggi. Secondo me non stiamo vivendo una crisi artistica. In fondo si continua ad avere molte invenzioni, più o meno buone naturalmente, ma non mi pare ci sia un decadimento da questo punto di vista. Dato che abbiamo nominato il M.A.C, devo dire che non solo la pittura e la scultura, ma anche il design, l’industriale e l’architettura mi pare siano in buone condizioni.
Quindi pensa che l’arte contemporanea abbia ancora qualcosa di valido, nuovo da proporre e dimostrare?
Certamente. Non c’è bisogno solo di fare il nome di Cattelan, come se non ci fossero altri artisti. Con tutto ciò, Cattelan è un artista molto vivace e intelligente, quindi anche lui è un caso direi positivo e non negativo.
Che arte esprime la nostra società?
Ogni epoca esprime la società che gli corrisponde. Direi che oggi c’è molta volontà di sopraffazione, divertimento, paradosso più di quanto non ce ne fosse una volta, perché naturalmente nelle epoche tipiche (Rinascimento ecc.) c’era un adeguamento a una formula ormai consolidata, oggi invece c’è una volontà di superare le formule pre-esistenti.
Cos’è la critica d’arte ai giorni nostri?
Direi che la critica ha scarsa importanza, perché molto spesso o è asservita al mercato o è basata su una pretesa filosofica che poi non esiste. Molti critici scrivono pezzi illeggibili, perché vorrebbero essere elevati (e non lo sono), oppure scrivono dei pezzi solo per accontentare le gallerie che devono vendere le opere. Sono questi due handicap – mercato e finta cultura – che rovinano la critica contemporanea. Speriamo che serva a chi legge questa intervista, ma ho paura che non sia così.
Insomma, non c’è libertà di critica.
Non solo, non c’è neanche la stroncatura. Non voglio parlare di cose che mi riguardano, infatti ciò che sto per raccontare è generalizzabile. Ho avuto prova sulla mia pelle che la critica in Italia non esiste: quando c’è stata la mia grande mostra a Palazzo Reale, mi aspettavo che sui giornali ci fossero molte critiche, positive o negative. Ci sono stati un’infinità di resoconti cronachistici – quindi non potrei lamentarmene –, tutte le riviste e giornali ne hanno parlato. Ma nessun critico ha avuto il coraggio di parlarne, perché se ne avessero detto molto bene sarebbero stati redarguiti dagli altri critici, se ne avessero detto male avrebbero fatto un dispetto a me e mi avrebbero dispiaciuto. Dunque, nessuno ha avuto il coraggio di fare una vera critica.
Ha notato che al giorno d’oggi gli artisti non tendono più a riunirsi in gruppi come invece eravate soliti fare voi al tempo del M.A.C? Da cosa pensa derivi questa tendenza?
Sì, effettivamente allora non c’era solo il M.A.C, ma anche il Gruppo Zero, il Gruppo T… E poi ancora l’Arte Povera e la Transavanguardia. Erano dei piccoli gruppi di quattro o cinque artisti che avevano qualcosa in comune. Oggi non ci sono raggruppamenti di una certa forza, anche perché tutti puntano a essere unici. Ognuno crede di essere l’unico ideale e quindi non ci pensa nemmeno a unirsi a un altro.
Guardando indietro, c’è qualcosa di cui si è pentito?
Non ho il coraggio di dirlo, però credo di no.
Progetti futuri, oltre alla mostra sul kitsch?
Troppi per poterli elencare.
Manuela Valentini
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