Hot Iceland
Non solo troll, geyser, vulcani, aurore boreali, cascate imponenti e paesaggi mozzafiato. Non solo Halldór Laxness, Björk e Sigur Rós. L’Islanda è anche una terra ad alta propulsione artistica e creativa. E, in un periodo di difficile crisi economica, è proprio l’arte, nelle sue declinazioni, ad assumere un ruolo trainante.
In un articolo apparso sul Reykjavik Grapevine, Jón Gnarr, sindaco della capitale islandese, invitava i turisti in modo ironico (ma non troppo) a concedersi un po’ di lusso durante la permanenza nel Paese, perché “ve lo meritate ed è buono per l’economia”. Gnarr – esponente del Partito Migliore, fondato da alcuni punk-rocker nel 2009 per contrastare la vecchia classe dirigente – non le manda di certo a dire. In un momento difficile come quello che sta attraversando la solitaria isola al limite del Circolo Polare Artico, il turismo è una delle prime carte da giocare. E, spesso, turismo vuol anche dire arte o, meglio, arti in generale, nel senso più lato del termine.
Dopo il collasso del sistema finanziario nazionale nel 2008, si poteva pensare a un rallentamento della proposta artistica e invece così non è stato. Popolo estremamente dignitoso e autonomo, dopo aver rifiutato ai voti di pagare l’enorme deficit delle banche private, si è mosso per risollevare la situazione sin da subito, fondando un nuovo Consiglio Costituzionale, formato da 25 cittadini designati, con l’obiettivo di rimettere mano alla Costituzione in una forma non elitaria ma partecipata, che si è servito abbondantemente dei vari Facebook, Twitter, YouTube e Flickr. I risultati saranno da valutare, dopo alcune controversie e polemiche che si sono susseguite.
In questo clima di cambiamento, l’arte non ne è uscita vittima, anzi: tutt’altro che destabilizzata, si è impossessata fieramente del proprio ruolo e ne ha incrementato la presenza sul territorio. Inutile dire che la maggior parte delle proposte riguarda la “metropoli” Reykjavik che, con i suoi 119mila abitanti, raccoglie un terzo dell’intera popolazione, mentre nel resto dell’isola è per lo più l’incantevole bellezza dei paesaggi a farla da padrona. Nella capitale si respira un clima di palpabile artisticità, con un’attenzione particolare al confronto interdisciplinare, tanto che la commistione dei generi sembra avvenire con estrema naturalezza nei numerosi eventi che costellano il calendario annuale.
Lo scorso 3 ottobre, Reykjavik è inoltre stata nominata dalla IFEA – International Festivals and Events Association Capitale mondiale dei Festival e Città degli Eventi grazie ai ben 30 festival che ha promosso nel corso del 2011. Nel campo dei linguaggi artistici contemporanei, il più importante è certamente il Reykjavik Arts Festival – il festival internazionale “ufficiale”, appoggiato dalle maggiori istituzioni – che va in scena a maggio, ma anche Sequences, festival indipendente fondato nel 2006 dalle gallerie Kling & Bang, The Dwarf e Bananananas (quest’ultima ora chiusa), dal Centro per l’Arte Islandese e dal Living Art Museum. Sequences si svolge in aprile e predilige il linguaggio della performance e della video-sound-art, in un clima di grande partecipazione cittadina e non solo. Anche Unglist, promosso dall’attivissimo centro culturale Hitt Húsid, è un appuntamento interessante: nel 2011 si è svolto agli inizi di novembre, con un programma intenso fra arte, musica, teatro e danza.
Ma, nella capitale, spesso e volentieri non c’è bisogno di creare un’occasione specifica per fare arte: nelle strade o nei locali la creatività si manifesta con forza aggregativa, sotto forma di più generi artistici. Anche moda e design fanno la loro parte: si mischiano con altre discipline, creando situazioni ad alto tasso di poliedricità. Lo Spark Design Space, in questo, ha di certo il primato: piattaforma d’incontro per designer, promuove progetti che invitano al confronto design, moda e altre professioni, mettendo insieme vista, olfatto e gusto (del loro food design sono particolarmente orgogliosi). Su questa scia, The Farmers Project – sviluppato per l’Iceland Academy of Arts dal professore di Product Design Sigridur Sigurjónsdottir – vede la collaborazione tra designer, coltivatori diretti, cuochi e nutrizionisti per la creazione di nuovi prodotti (dalla ricetta al packaging) da immettere sul mercato, puntando sulla qualità di ingredienti a chilometro zero.
Dall’altro capo dell’isola, nei fiordi orientali, la pittoresca Seydisfjördur è, in fatto di arte, l’alter ego (ridotto, molto ridotto: non arriva a 700 abitanti) di Reykjavik. Lo Skatafell Center for Visual Art è il suo dinamico punto d’incontro tra artisti nazionali e internazionali, con un fitto programma di esposizioni, progetti e residenze che attira un’attenzione non solo locale locale. Akureyri, invece, nel nord, nonostante sia tra le più grandi città d’Islanda per popolazione, non offre un panorama artistico così variegato. Certo, non mancano i musei d’arte e l’accademia, ma, al di fuori dell’ambiente istituzionale, l’arte non riesce a creare quella dimensione di partecipazione che è così tanto distintiva di Reykjavik e Seydidfjördur.
Non si pensi comunque che l’Islanda sia al di fuori del “giro” internazionale che conta: nomi di rilievo come Olafur Eliasson, Richard Serra, Yoko Ono e Roni Horn hanno scelto proprio il suolo islandese per creare installazioni site specific che entrano in contatto con gli aspetti geologici e geografici del paesaggio. I primi tre sulla piccolissima isola di Videy, nei dintorni di Reykjavik, mentre la quarta ha ideato la Library of Water (un’installazione che raccoglie in 24 grandi colonne di vetro il ghiaccio disciolto di alcuni ghiacciai islandesi, che si stanno ritirando a una velocità incalzante) a Stikkishólmur, paesino di pescatori nella penisola di Snæfellsnes.
Insomma nel suo “splendido isolamento”, l’Islanda ha saputo tracciare una linea di originalità anche nel campo dell’arte, dimostrando come la creatività trasversale possa essere un effettivo elemento di arricchimento, soprattutto per giovani e giovanissimi, più che mai in questo complicatissimo momento storico-economico.
Serena Vanzaghi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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