L’artista direttore
Classe 1979, studi all'Accademia di Belle Arti di Catania e un breve trascorso nel teatro, dove ha imparato a non recitare sul palco per riuscire poi a non farlo neppure nella vita. Per spirito di condivisione, Giuseppe Lana dal 2008 è anche direttore artistico di BOCS, spazio che ha l'obiettivo di creare un punto di riferimento sul territorio siciliano e coinvolgere non solo gli addetti ai lavori. Perché “ogni tanto non bisogna prendersi troppo sul serio”.
Che libri hai letto ultimamente e che musica ascolti?
Di recente mi hanno regalato Il barone rampante di Calvino e suggerito L’arte di essere felici di Schopenhauer. Libri meravigliosi. Inoltre sto leggendo Lo Sboom di Adriana Polveroni e Slow Museum, profonda analisi sulla realtà museale in Italia di Massimiliano Vetere e Loriana Ambusto. Per quanto riguarda la musica, sono cresciuto ascoltando DJ Q-Bert, la East e West coast americana, la vecchia scena italiana con i Radical Stuff e Sangue Misto, e ancora oggi devo molto a Marco Fiorito. Ascolto anche The Prodigy, Björk, Skunk Anansie, Radiohead…
I luoghi che ti hanno affascinato.
Siamo abituati a cercare lontano, come se questo fosse sinonimo di qualità. Di sicuro grandi città come New York, Londra e Parigi mi hanno fortemente affascinato, ma di recente sto scoprendo i luoghi della mia Sicilia. Eolie ed Egadi mozzano il fiato. Prossime: Pantelleria, Linosa e Lampedusa.
Le pellicole più a amate.
Requiem for a Dream, L’odio, Match Point e tanti altri ancora. Kubrick, Cronenberg, Lynch, Lars von Trier e i loro capolavori.
Gli artisti del passato che ammiri e i giovani artisti ai quali ti senti vicino.
Fare un elenco sarebbe riduttivo. Guardo con ammirazione molti artisti, dal primo anonimo che ha inciso le pareti di una grotta al Red Carpet di Giandomenico Sozzi. Della mia “generazione” conosco un po’ di artisti in tutto lo Stivale, ma quelli che sento vicino sono pochi, e li frequento spesso. Filippo Leonardi, Canecapovolto, /barbaragurrieri/group sono tra quelli con cui mi confronto da anni. Bravi artisti e ottime persone.
Hai un breve trascorso nel teatro. Ha influenzato il tuo lavoro?
Ho imparato a non recitare sul palco e ci provo anche nella vita. Trovavo molto interessante il metodo Stanislavskij e quello Brecht. Poi ho mollato e oggi, nella quotidianità, utilizzo il metodo “peppelana”: un mix di rigore e strafottenza.
Fai pochissime opere all’anno. Tempi lunghi di elaborazione?
Non ho mai fatto caso a quanto, ma a cosa produco.
Usi fotografie vintage Anni Settanta, materiali organici (i tuoi capelli), oggetti d’uso quotidiano come un ventilatore o una scala. Cosa li unisce?
Non esiste una reale unione tra loro. Definisco i miei lavori dei tentativi, un nesso con cause ed effetti, un dialogo sgrammaticato che sto cercando di strutturare. Con il progetto DRON, ad esempio, indago su punti a me cari, ma ogni intervento ha una sua natura. Alcuni progetti, come Scala del 2010 ed Externum Historia del 2011, nascono site specific, perché cerco di creare una relazione tra il luogo e l’opera. Alcuni temi, come il tempo, il vuoto, la fragilità e tutte le loro opposizioni sono alla base. Attraverso questo processo mi relaziono con l’individuo, la quotidianità e i loro paradossi.
Non hai una galleria, ma le tue opere sono già in varie collezioni. Una scelta di autonomia?
Non sono io a non avere una galleria, ma le gallerie a non avere me! Scherzi a parte, mi reputo fortunato perché il mio lavoro lo possiedono persone che stimo e, credo, viceversa.
Hai accartocciato una copia di una rivista d’arte, facendone una palla, e l’hai intitolata Che palle! Una critica al sistema autoreferenziale dell’arte?
Penso di non essere l’unico che leggendo o sfogliando riviste di settore abbia usato, almeno una volta, quest’esclamazione. Ho semplicemente rifatto ciò che si faceva da bambini: carta, scotch e spensierati momenti di ricreazione con gli amici. Ogni tanto non bisogna prendersi troppo sul serio.
Guidi lo spazio di sperimentazione sui linguaggi BOCS a Catania, che ha partecipato ad Artissima Lido. Ragioni di questo spazio e obiettivi.
Il BOCS nasce dall’esigenza di creare sul territorio un punto di riferimento, uno spazio per l’arte che coinvolga tutti, addetti ai lavori e non. La finalità è contribuire alla crescita artistica e culturale del luogo che viviamo. È un “piccolo spazio” per l’arte contemporanea che, attraverso un “grande network”, ambisce a essere matrice di nuove trasformazioni, che può aiutare a modificare la percezione esterna nei confronti del nostro territorio.
Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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