Ci prova, con una discreta tenacia, questo Governo di alieni: tecnici coraggiosi, che però palesemente predicano nel deserto. Parti sociali, partiti, media, baronie accademiche e culturali non riescono a focalizzare neanche la più banale scala di priorità necessaria per evitare la fine della Grecia. Una scala in sé semplicissima: al primo posto non la generica riforma del mercato del lavoro, ma del salario. Il caro vecchio “cuneo fiscale”, che dovrebbe essere a beneficio anche del lavoratore, non solo dell’impresa. Flessibilità anche estremizzata, ma in cambio di innalzamenti della paga oraria. Abbattimento delle aliquote fiscali più basse, subito, non con il solito effetto annuncio poi ritirato.
Basta posti a vita, mercato delle opportunità dove chi più vale più guadagna e il merito abbia un senso. Investimento sulle energie più giovani e basta con l’ingiustizia del venticinquenne fresco pagato un terzo del sessantenne bollito, alla catena di montaggio come nelle stanze dei bottoni. Basta con questo sindacato dei lavoratori, che è in realtà il sindacato dei pensionati e difende solo il diritto di milioni di persone, andate a riposo scandalosamente tra i quaranta e i cinquantacinque anni, a vedere rivalutata la propria pensione anche al triplo della minima.
Seconda priorità: riforma dei partiti. Immediata, perché se domani dicessero agli italiani che le elezioni sono rinviate a data da destinarsi, gli italiani non sussulterebbero e sarebbero in fondo contenti. Perché gli italiani a questi mille parlamentari a diciottomila euro al mese, a questi partiti che spendono e spandono, bugiardi e molto spesso ladri, non credono più, non prestano più alcuna fede. E questo sarebbe poco male, se ad andarci di mezzo non ci fosse l’amore per la politica e in fondo per la democrazia. Il crimine più pesante commesso da questa classe dirigente incapace di riformare se stessa e per questo ignobile. Tutta. Anche a sinistra. E i casi Lusi e Penati sono lì a ricordarlo, anche se si è tentato il seppellimento della polvere sotto il tappeto.
Terza priorità: l’abbattimento del debito. Perché non può reggere un sistema in cui la mezza Italia nata dopo il 1970 che, già penalizzata da salari da fame, assenza di tutela e di rappresentanza, precarietà senza opportunità, debba pagare anche tutti gli interessi di un debito fatto da altri e alimentato dal bisogno di altri di veder pagato il loro welfare. Questa condizione nel medio termine non regge socialmente e porta alla guerra generazionale. E allora, subito bisogna abbattere quel debito, intervenendo sugli interessi di chi l’ha realizzato e ne ha beneficiato. Li chiamano diritti acquisiti. Vanno toccati.
Salario, democrazia, debito. Tre enormi emergenze, dalle conseguenze sociali ancora incalcolate. Non abbiamo chiaro in quale guaio ci stiamo infilando, continuando a non sciogliere i nodi e a interessarci solo di dettagli.
Mario Adinolfi
Giornalista e scrittore
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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