Londra la verde
A pochi mesi dal più grande evento sportivo mondiale, a Londra è già tutto pronto per le Olimpiadi 2012. Dal 27 luglio al 12 agosto, a essere sotto osservazione è un pezzo di città a est della capitale, nei pressi di Stratford, nel quartiere Newham. Anticipiamo i Giochi e analizziamo, architettonicamente, tutto il compound olimpico.
Un’area di 2,5 kmq, stretta tra i parchi pubblici di Victoria Park e Hackney Marsh, attraversata da otto chilometri di corsi d’acqua, con dieci linee ferroviarie, trenta nuovi ponti e quattro strutture permanenti, per un totale di 7,3 miliardi di sterline – l’equivalente di quasi 9 miliardi di euro – investite dalla National Lottery, dal Department of Culture, Media and Sport, dal Comune e dal London Development Agency. Questi i tratti distintivi della zona interessata dalle Olimpiadi. Un quartiere a forte carattere industriale, già dotato di infrastrutture. Quasi una scelta ovvia, dunque, dovuta ai costi relativamente bassi dei terreni – che il governo britannico ha comprato in gran velocità – e alla già esistente rete di collegamenti con il centro londinese.
Numeri da record anche per i tempi di realizzazione. Le cinque strutture che ospiteranno i giochi sono state ultimate un anno prima della festa inaugurale. La prima, il Velodromo, è stato completato a febbraio del 2011 e il mese successivo è toccato all’Olympic Stadium. A maggio è stata la volta della Handball Arena, mentre si è dovuto aspettare giugno per veder terminata la Basketball Arena e luglio per riempire d’acqua le piscine dell’Aquatics Center. Ma a queste Olimpiadi va anche un altro il primato: il rispetto del budget. Ad oggi, ogni opera è rientrata nelle stime previste, senza sfori né ritardi.
Ma è un’altra l’eccellenza a cui aspira Londra. Le Olimpiadi del 2012 saranno le prime sostenibili, secondo il motto “Riduci, Riusa, Ricicla”. Non c’è edificio che non sia fatto di materiali di scarto o che, a giochi chiusi, non potrà essere riconvertito, smantellato o riciclato. E non solo: la creazione del parco più grande mai realizzato nell’ultimo secolo ha previsto la più estesa operazione di bonifica di terreno inquinato di tutto il Regno Unito.
Ad aprire il valzer delle inaugurazioni è il Velodrome disegnato da Hopkins Architects. L’intervento è il più apprezzato dagli inglesi, ma non è riuscito a vincere lo Stirling Prize, assegnato alla Evelyn Grace Academy di Zaha Hadid. Un edificio a ventilazione naturale e riciclo delle acque piovane che, con i suoi seimila posti a sedere, ospiterà le gare ciclistiche, distinguendosi per il tetto curvato, ispirato alla geometria della ruota di bicicletta, e per le vetrate a 360° sulla città.
Simbolo dell’intera operazione, l’Olympic Stadium. Con il 75% in meno di acciaio impiegato, l’uso di un cemento low-cabon e il riciclo di tubi per realizzare l’anello superiore, la struttura è il primo esempio di stadio sostenibile. Situato su un’isola circondata d’acqua su tre lati, il progetto, che può ospitare fino a 80mila spettatori, è opera dello studio inglese Populous, conosciuto in Italia per l’Oval Lingotto di Torino 2006. A mancare, per ora, oltre a un lungo “wrap” di tessuto che avvolgerà l’ovale, è la società che, a giochi chiusi, si prenderà carico di gestirlo.
Il più regolare degli edifici è la Handball Arena. Una scatola di tremila mq di rame progettata dai Make Architects – studio con sedi in Inghilterra, Cina ed Emirati – per ospitare settemila spettatori durante la pallamano e il pentathlon. La Basketball Arena è invece l’unica delle strutture più importanti a essere temporanea. Ideata dagli inglesi Wilkinson Eyre, ospiterà 12mila posti a sedere e dopo la cerimonia di chiusura verrà smantellata, riutilizzandone i materiali per nuove costruzioni nel Regno Unito.
Quello che è considerato il cancello d’ingresso ai giochi olimpici è l’Aquatics Center, il più visionario dei progetti. Zaha Hadid disegna una struttura flessibile a due configurazioni: l’Olympic Mode da 17mila posti – dotato di due “ali” con gradinate – e il Legacy Mode da duemila e cinque – dove, a giochi chiusi, rimarrà solo il corpo centrale. Un volume ispirato alla fluidità dell’acqua che ospiterà le gare di nuoto, in cui la geometria a doppia curvatura genera una configurazione parabolica del tetto unica nel suo genere.
Ma non c’è quartiere olimpico che si rispetti senza residenze. L’Olympic Village ospiterà 17mila atleti in alloggi con consumi di Co2 abbattuti del 40%. Al motto di “Beds for athletes, homes for Londoners”, a fine Olimpiade il villaggio sarà un nuovo quartiere con 2.800 appartamenti, di cui la metà disponibili a prezzi calmierati e con un campus scolastico, la Chobham Academy, per 1.800 studenti.
Una forte spinta economica per tutto il Regno Unito. Un esempio di sviluppo sostenibile e una buona occasione per restituire ai cittadini un pezzo di città. Un atto dovuto, visto che un forte finanziamento viene proprio dalle tasche dei londinesi. Ben felici perché ancora, e sempre di più, al centro del mondo.
Zaira Magliozzi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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