Omar Calabrese, in memoriam
Fotografia straordinaria, questa che vedete qui sotto. Lui è Omar Calabrese, che purtroppo dobbiamo già rimpiangere. Il giorno della sua morte abbiamo pubblicato un ricordo del direttore di Artribune Massimiliano Tonelli, e ora ne arriva un secondo, di un altro suo studente a Siena nonché membro di questa testata. Che al professore deve molto.
Le cariche non producono necessariamente consenso,
e […] le idee contano più delle poltrone.
Omar Calabrese 1997
Un altro grande ingegno si è spento.
Omar Calabrese era dotato di un’intelligenza vivissima, acuta e prensile. È stato tra i massimi protagonisti di una delle stagioni più importanti e fertili della cultura italiana, quella che ha visto un gruppo intenso e molto brillante di intellettuali riunito attorno a Umberto Eco e al DAMS di Bologna – una stagione che è riuscita a sprigionare tantissime energie culturali, come i fumetti di Andrea Pazienza e i romanzi di Enrico Palandri e Pier Vittorio Tondelli, e che è stata immortalata da Marco Belpoliti in Settanta.
Un tempo, quello compreso tra la fine degli Anni Settanta e i primi Anni Ottanta, in cui si disarticolava gioiosamente il peso dell’ideologia e della violenza politica – che conosceva proprio in quel momento il suo culmine e insieme il suo declino – e in cui il pensiero e la riflessione si apriva al mondo esterno, e alle mille novità che affioravano in quegli anni.
A testimonianza di questa effervescenza, rimane l’esperienza decennale della rivista alfabeta (1979-88), che Calabrese co-diresse e a cui collaborò, insieme a una squadra formidabile di studiosi e scrittori che condividevano prima di tutto un rapporto di profonda amicizia e complicità. Furono anni di scoperte e innovazione culturale (gli ultimi, forse, in cui fosse condivisa la sensazione pionieristica di un’avventura): gli Anni Ottanta non sono dunque stati solo quelli di Drive-in e della “neo-televisione”, ma anche quelli di un aggiornamento collettivo velocissimo e profondissimo, di un pazzo divertimento che ha strutturato e articolato l’identità culturale nazionale per gli anni e i decenni a venire.
È venuto in seguito l’insegnamento di semiotica presso l’Università di Siena, con l’inaugurazione di un’altra grande stagione che ha visto protagonista la città toscana – con la Facoltà di Scienze della Comunicazione più all’avanguardia d’Italia – e l’impegno anche sul piano politico (assessore alla Cultura del Comune di Siena, consigliere della Presidenza del Consiglio per l’editoria e la comunicazione, tra i promotori dell’incontro alla Certosa di Pontignano nel 1995 e di quello a Castello di Gargonza del 1997, due momenti-chiave nell’esperienza dell’Ulivo).
L’ho incontrato per la prima volta proprio a Siena, nel suo studio all’Università, in occasione di un’intervista su L’età neobarocca (1987) e i suoi sviluppi all’inizio del XXI secolo: ero arrivato da circa un anno e mezzo in città per il dottorato, e mi colpì la disponibilità e la curiosità di questo famoso professore. Da allora, ci siamo sentiti e visti più volte: se ho un rimpianto, è quello di non aver coltivato maggiormente, in maniera più assidua e presente, questo rapporto che per me è stato stimolante come pochi. Posso dire che molto di quello che sto cercando di fare, semplicemente non esisterebbe senza l’insegnamento e le idee di Calabrese.
Sarebbe inutile, e anche impossibile, racchiudere in questo breve spazio la novità e l’importanza dei suoi studi. Basterà ricordare, oltre al già citato L’età neobarocca e a Il linguaggio dell’arte (1984), Come nella boxe: lo spettacolo della politica in tv (1998), un geniale libretto che alla sua comparsa non ebbe grande fortuna, ma che andrebbe ripreso perché anticipa e analizza moltissimi temi cruciali degli ultimi quindici anni, e il recente L’arte del trompe-l’oeil (2010), raffinatissima indagine al confine tra molte discipline, vincitrice del Prix Bernier dell’Accademia di Francia. La capacità – una delle capacità – di Omar Calabrese risiedeva infatti nel creare connessioni vibranti e uniche tra mondi culturali diversi, tra metodologie e oggetti di studio, all’insegna di un sapere che non amava rinchiudersi in griglie precostituite e in compartimenti stagni. Un sapere veramente e radicalmente “umanistico” – e perciò stesso contemporaneo.
Calabrese era una persona di ricchezza e generosità rarissime, soprattutto in questo tempo disgraziato che ci è dato di vivere: incarnava l’intellettuale italiano come exemplum, come modello (di vita e di stile, oltre che di rigore, indipendenza e originalità). Lascia di sé un ricordo che unisce la commozione all’ammirazione. Quanti suoi coetanei potranno, un giorno, dire lo stesso anche di se stessi?
Il massimo che possiamo fare per rendere onore a questo illustre uomo, perciò, è coltivare sempre la sua opera, vivificandola e non musealizzandola; studiare e ristudiare ciò che ha scritto e detto e collazionato, integrandolo nel nostro pensiero e nella nostra riflessione. È l’unico modo per far sì che la chiusura di un orizzonte coincida realmente con l’apertura di un altro: del resto, in un articolo di grande umanità apparso sull’ultimo numero di alfabeta2 (che può essere letto, a posteriori, come una sorta di “testamento”), lo stesso Calabrese si augura che la nuova esperienza possa proseguire e sviluppare quella originale, portando alla vita collettiva stimoli analoghi e nuove prospettive.
Caro professore, grazie infinite.
Christian Caliandro
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