Ryan McGinley: anatomia di un successo
In occasione della pubblicazione di “Twin Palms di You and I”, il volume monografico e retrospettivo di un decennio di carriera, facciamo il punto su Ryan McGinley. Uno dei fotografi più talentuosi e universalmente conosciuti (se non il nome, sicuramente l’opera) della sua generazione.
Ryan McGinley (Ramsey, 1977; vive a New York) è un giovane fotografo affermato nel circuito dell’art system e riconosciuto in quello più ampio della cultura visiva pop. Il suo folgorante successo è facilmente verificabile scorrendo il curriculum: nel 2003 The Kids are Alright è la personale del più giovane fotografo ad aver mai esposto al Whitney Museum; sua la cover iconica dell’album Með suð í eyrum við spilum endalaust dei Sigur Rós, come una serie di portfolio per il magazine del New York Times e campagne pubblicitarie landmarking che riscrivono l’immaginario pioneristico stars and stripes per Levis e Wrangler.
Il successo è quasi sempre una risultante di abilità e fortuna, secondo le variabili imprevedibili del tempismo, del dono divino dell’essere l’uomo giusto al momento giusto (e possibilmente anche nel posto giusto). Il caso McGinley non fa eccezione. Sicuramente aiuta possedere una cifra stilistica, una qualità formale chiara, riconoscibile, familiare e insieme innovativa. McGinley ha fotografato soltanto teenager ambosessi dalla fisicità asciutta, spesso pescati nelle subculture urbane che sono il suo milieu.
La fotografia come documento, dal valore sociologico secondo ma di ispirazione diaristica, s’iscrive in una linea che comprende i riferimenti obbligati dell’opera di McGinley: Larry Clark, Nan Goldin, Wolfgang Tillmans. Sesso, droga e sottoculture. Tuttavia, se un percorso formale indirizzato alla costruzione dell’immagine e alla composizione sempre più studiata e pulita divide il nostro dal fotografo tedesco, un profondo scarto nel senso lo separa dai conterranei americani. Clark e Goldin misero la nudità del corpo al centro dell’inquadratura per evidenziarne, senza licenze poetiche né pudori o pruderie, le cicatrici fisiche e morali lasciate dall’emarginazione sociale, dagli amori difficili, dall’Aids, dai tormenti del (trans)gender, dall’eroina. McGinley celebra whitmaniamente la gioia, l’esuberanza di possedere un corpo giovane e sano. Youth, large, lusty, loving / youth full of grace, force, fascination.
Come nell’orizzonte poetico di Walt Whitman, la vastità del paesaggio americano è l’unico possibile correlativo ambientale nel quale versare la dépense smisurata del vitalismo adolescenziale. Così McGinley decise “di non poter più aspettare che le fotografie accadessero” e, rompendo con la linea Goldin-Tillmans sulla questione della tranche de vie, decise che ogni estate avrebbe caricato su un pullman i suoi giovani modelli per trasportarli on the road attraverso le location prescelte. Luce piena accecante, tramonti e notti stellate piuttosto che neon e interni in penombra.
Nascono, ad esempio, il progetto Moonmilk dove i corpi sono dissimulati, faticosamente individuabili all’interno dello scenario preistorico, che ricorda il Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, di grotte, caverne e formazioni calcaree. Oppure i più recenti Somewhere place, Life Adjustment Center e Wandering Comma che accostano ritratti in studio con animali a scene di dinamismo naturista in piena wilderness, dove i ragazzi giocano a comportarsi da grizzly o ammantano di un’aura arcana i riti di passaggio obbligatori, come il bagno di mezzanotte o il tuffo da altezza considerevole come prova di coraggio. Tutto molto americano, compresi i riferimenti pittorici, dai gruppi di bagnanti di Thomas Eakins alla citazione letterale a mood rovesciato che è Running Field rispetto agli orizzonti collinari aridi di Andrew Wyeth.
Se da un punto di vista formale il rigore tecnico e compositivo e soprattutto la creazione di immagini intrise di desiderio e fascinazione (per i corpi giovani, per un’idea di buon selvaggio che è il sogno nascosto di ogni civiltà troppo civilizzata, per l’età dell’innocenza sempre rimpianta e idealizzata che la gioventù…) hanno prevedibilmente sedotto gli addetti marketing dei brand dal target giovane, c’è un’altra questione più precisamente legata allo Zeitgeist, a proposito di Ryan McGinley. Negli ultimi decenni del Novecento le controculture (skater, gay, graffiti ecc.) hanno desiderato essere rappresentate nei loro aspetti più radicali, urtanti, inassimilabili dal sistema che teneva loro ai margini. Da circa vent’anni le subculture sono accettate e integrate nel sistema dell’entertainment e, parzialmente, nell’opinione pubblica e nei discorsi della politica.
Ma c’è di più. Gli Anni Zero del XXI secolo sono stati anni difficili per gli Usa. L’attentato alle Twin Towers, le crisi finanziarie, la perdita di un ruolo egemone politico ed economico hanno eroso un’illusione durata pochi anni: l’autopercezione di unica superpotenza del mondo senza più blocchi ideologici e del capitalismo come strumento di magnifiche sorti, sempre progressive. Nel decennio in cui si è dovuto ripensare l’homo americanus e si è cominciato a parlare di “decrescita felice”, i teenager di McGinley hanno incarnato il mito della frontiera (nella versione secondo Walt Whitman, mentale e intrisa di panismo) ed esorcizzato la claustrofobia delle metropoli. L’uomo giusto al momento giusto, oltre che un fotografo geniale.
Alessandro Ronchi
Ryan McGinley – You and I
Twin Palms, Santa Fe 2011
Pagg. 196, $ 75
ISBN 9781931885515
twinpalms.com
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati