Sangue, marmo e vibratori. Sul design musicale
Ormai una percentuale maggioritaria degli ascoltatori scarica - più o meno legalmente - la propria musica direttamente dal web. In forma digitale. Che ne è allora non solo del vecchio vinile, ma di tutto il packaging di settore? La risposta è semplice: è vivacissimo, ancora più di prima. Perché la difficoltà aguzza l’ingegno.
Mentre nel Belpaese si era tutti con gli occhi puntati al Salone del Mobile, negli Stati Uniti si è svolto il Record Store Day, appuntamento annuale in cui si celebra la rinascita del vinile come supporto musicale. Una giornata di eventi e nuove uscite che rappresenta, per ogni appassionato, l’occasione per confrontarsi con le strategie di un settore dell’industria discografica, che pare non aver perso lo smalto dei bei tempi andati. E che permette a noi una riflessione sulle stranezze nel campo del packaging a cui abbiamo assistito, più o meno regolarmente, nel corso degli ultimi anni.
L’occasione ci viene fornita da quello che è stato il pezzo forte di questo Record Store Day, il già leggendario Lp dei Flaming Lips intitolato The Flaming Lips and Heady Fwends: collaborazioni improbabili (Ke$a e Chris Martin, tra gli altri), provocazioni al limite della decenza (la riscrittura di 1969 degli Stooges e la traccia con Neon Indian, Is David Bowie dying??), per quello che rappresenta un vero e proprio oggetto di design. Ogni vinile è un unicum per colori, texture e lavorazione e, come se non bastasse, esistono alcune copie in versione deluxe che contengono il sangue dei componenti della band e di alcuni collaboratori. Vendite e ordinazioni sold-out in pochissimo tempo, per quella che sembra essere l’ennesima “missione compiuta” per la band dell’Oklahoma.
Tra l’altro, i Flaming Lips non sono affatto nuovi a questo tipo di operazioni. Nel 2011 un loro Ep uscì solamente in formato digitale, tre canzoni contenute in una chiavetta USB conservata all’interno di un grosso teschio di gomma commestibile (sic!), idea ripresa poco tempo dopo nella distribuzione della loro traccia 7 skies H3 della durata di 24 ore, per cui venne rilasciato un supporto fisico a forma di teschio umano, del valore compessivo di 5.000 dollari!
L’idea dell’effimero sperimentata dai Flaming Lips nel teschio commestibile era stata affrontata, qualche anno prima, anche da un produttore di Toronto conosciuto come Peter Project: cosa aspettarsi da un album composto da una saponetta a forma di iPod? Per ottenere Fresh Ep, questo il nome del progetto, bastava farsi una doccia per trovare, all’interno dello strano sapone, un codice con cui scaricare le tracce. Un’uscita dedicata a tutti gli hipster con la fissa per la cura del proprio corpo.
Se si parla di bizzari formati ed eccentriche strategie di promozione, non si può non citare l’album Parallax Error Behead di Max Tundra, uscito nel 2008, e che passò alla cronaca per la particolare forma di distribuzione adottata: per ottenere il disco era necessario comprare un barattolo di zuppa di pollo kosher, regolarmente firmato da Max Tundra. Si parlò allora di “new kosher format”, roba da far impallidire il download a offerta libera dei Radiohead ai tempi dell’ottimo In Rainbows.
Se nell’epoca del digitale appare sempre più anacronistico, agli occhi del consumatore medio, acquistare supporti musicali tangibili, ecco che per contrastare questa tendenza i musicisti si organizzano nelle forme più disparate, ridefinendo in questo modo il concetto di design musicale.
Si reinterpreta la forma classica del vinile, come nel caso di Warsaw in the sun dei Tangerine Dream, dove il disco assumeva la forma della Polonia, o come per i The Locust di Arab on radar, edito in colori e forme differenti a cui corrispondono diversi fluidi corporei.
Si immagina il vinile come un telaio su cui intervenire con operazioni artistiche, vedi l’ultimo 7” prodotto dai nostrani Ofeliadorme con il contributo dell’illustratore Ivan Spanu.
Ma il contesto in cui questo genere di operazioni funziona al meglio sembra essere quello del packaging, di quel contenitore che già artisti come Josef Albers, Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat, solo per citarne alcuni, avevano contribuito a rendere un prodotto artistico a tutti gli effetti.
In tal senso, non si contano gli esempi: da Metamorphism dei Merzbow, la cui confezione in marmo inciso divenne un punto fermo per i collezionisti di tutto il mondo, al disco dei Ghostwriter intitolato The Continuing Adventures Of The Strange Sound Association, fino ad arrivare al booklet dei Venetian Snares di A Giant Alien Force More Violent & Sick Than Anything You Can Imagine, immaginato come un piccolo televisore funzionante in cui si susseguono una serie di immagini alquanto disturbanti.
Ma la palma della miglior confezione se la portano a casa i Rammstein che, per il loro sesto album in studio, Liebe Ist Fur Alle Da, crearono un oggetto del tutto particolare, accompagnato dall’esplicativo commento “You’ve got a pussy, we have the dicks!“: una valigetta pensata appositamente per il pubblico femminile e contenente, oltre al disco, sei vibratori, uno per ogni componente della band, un paio di manette, un lubrificante e una speciale colonna sonora di accompagnamento. Musica che supera ogni confine dell’intrattenimento.
Alessandro Marzocchi
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