Sputtanàti nel mondo. E ora, Ornaghi, dimettiti!
Il dietro le quinte delle storie tese che stanno alle spalle dell'annunciato processo di commissariamento del Maxxi fa paura. Notizie false diffuse da anonimi burocrati del ministero; un'istituzione culturale emblematica e cruciale messa alla berlina a livello internazionale; finanziamenti che si riducono del 75% in due anni; appetiti oscuri sulla gestione del museo. Una storia balcanica, anche peggio: una guerra civile tra istituzioni.
Le notizie diramate ieri dalle prime concitate agenzie erano scorrette, false. E vedremo dopo quanto sarà grave che siano girate queste falsità. Occorre partire da questo. Non è vero, infatti – questo è emerso durante la conferenza stampa che la Fondazione Maxxi ha prontamente convocato dopo le indiscrezioni sull’avvio delle procedure di commissariamento – che il bilancio 2011 non è stato approvato dal CdA della Fondazione. “Il bilancio dello scorso anno ha chiuso effettivamente con un disavanzo di 700mila euro”, ci spiega Pio Baldi, “ma è una cifra che abbiamo facilmente coperto con gli utili degli scorsi anni e anzi abbiamo ancora della cassa per questo. Il cavillo”, continua il presidente della Fondazione Maxxi, “deriva dal fatto che, dopo aver avvertito più volte ministro e ministero, non siamo riusciti ad approvare il previsionale di bilancio per quest’anno, per il 2012. Perché? Perché per quest’anno il ministero ancora non ci riesce a dire quanto ci darà, e se non ci dice quanto abbiamo come facciamo a fare il bilancio?”. Ma proprio non c’era nessun feedback in questo senso? Davvero il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali non sa quanto metterà sul Maxxi, un suo museo, nel 2012? “Per ora quello che è certo è che ci daranno 2 milioni. Contro, ad esempio, i 7 milioni del 2010 decurtati a 4 milioni nel 2011. Una cifra che, se fosse realmente questa, ci porterebbe a non poter neppure accendere le luci del museo”.
Una procedura di commissariamento che, dunque, non avrebbe “nessun fondamento economico”, per dirla con Stefano Zecchi, altro componente del CdA della fondazione insieme a Baldi e a Roberto Grossi di Federculture (che ha chiaramente parlato di dimissioni del Consiglio). Un commissariamento indotto, imboccato dal ministero che non ha dato modo a una fondazione, di cui esso stesso è azionista unico, di chiudere il bilancio. E che poi l’ha messa sul banco degli imputati, proprio per non aver chiuso quel bilancio. Un cortocircuito, un teatro dell’assurdo, un tecnicismo, forse, che nel totale disinteresse del ministero sta in queste ore letteralmente sputtanando il sistema dell’arte italiano nel mondo.
Perché sta succedendo questo? C’è un ministero che ritiene possibile versare a un museo come il Maxxi solo 2 milioni di euro per l’anno in corso. C’è un Maxxi che, di conseguenza e come è ovvio che sia, non riesce ad avere previsione su come chiudere il prossimo esercizio. E c’è di nuovo un ministero che, in tutta risposta, invece di trovare le risorse necessarie a fornire un finanziamento per lo meno decente (i dati sugli altri musei competitor li potete vedere nel grafico), avvia le procedure di commissariamento provocando un danno d’immagine non ponderabile. Galleristi, artisti, critici e curatori che cercano di lavorare nel mondo dell’arte globale diventano da oggi degli zimbelli, solo per il fatto di avere le loro origini in un Paese in cui gli enti pubblici, di fatto, commissariano se stessi. E il danno d’immagine si riversa, poi, direttamente sul Maxxi. E qui è ancora Pio Baldi a parlare: “Sembra che ci accusino di non essere stati in grado di incorporare i privati nella Fondazione, ma con questa botta di immagine che ci danno ora si che sarà difficile interloquire con le aziende”.
Abbiamo sentito Pio Baldi, abbiamo sentito Stefano Zecchi, ci manca Roberto Grossi, capo di Federculture e terzo consigliere d’amministrazione della Fondazione Maxxi. E le dichiarazioni sono al fulmicotone. Durissime. “Si tratta di una operazione orchestrata dal ministero, da burocrati interni interessati al commissariamento. Abbiamo attuato in questi anni una gestione oculata, avevamo un avanzo di bilancio consistente che ci è servito per coprire la perdita del 2011, abbiamo contenuto i costi in maniera pazzesca. Questo ha dato fastidio a qualcuno: nella buona gestione non ci sono sprechi, non ci sono interessi, non ci sono ruberie. Forse questo non piace…”. Ma come mai il ministero si comporta in questo modo, qual è la chiave di lettura di una operazione simile? “Il guaio è che da anni non abbiamo ministri all’altezza. Ecco qual è la questione. Vogliono investire sul Maxxi 2 milioni di euro per il 2012. Una cifra impensabile: il prezzo di un appartamento in centro. Ormai in Italia quando si tratta di fare nuove opere e nuovi appalti, si pensi a Brera o a Pompei, i soldi del Cipe si trovano sempre, a decine di milioni, quando invece si tratta di investire sulla gestione diventano un problema anche poche centinaia di migliaia di euro. Negli ultimi mesi, dalla scorsa estate, abbiamo spedito quattro lettere, una peggio dell’altra”, continua Grossi, “due a Galan e due all’attuale ministro Lorenzo Ornaghi. Nessuna risposta mai, fino all’incontro del mese scorso con Ornaghi, Mario Resca, Salvo Nastasi e la Antonella Recchia (questi ultimi tutti papabili commissari, ndr): ci hanno chiesto un piano triennale fino al 2014, lo abbiamo fatto, un lavoro massacrante di centinaia di pagine, è da qui che emergevano i famosi 11 milioni di fabbisogno. Fabbisogno, chiaro?, non deficit!”.
Dunque le notizie che le agenzie e la stampa ieri hanno rilanciato, che parlavano di un buco da 11 milioni, erano clamorosamente false? “Non false, falsissime”, tuona Grossi ai microfoni di Artribune, “ci sono state delle persone all’interno del ministero, dei burocrati anonimi, che hanno lavorato ai fianchi dei giornali e dei direttori per fare uscire notizie infamanti sulla Fondazione Maxxi. Si tratta di una roba gravissima che mai in anni di attività in questo settore avevo avuto modo di vedere. Io sto cercando chi sono questi figuri e sono pronto a denunciarli alla Procura della Repubblica. Invece di avvertire noi, si sono preoccupati subdolamente di chiamare la stampa creando un danno di immagine internazionale non calcolabile. Si tratta di una aggressione, alle spalle. Questo succede quando si hanno ministri fuori ruolo: burocrazia e interessi non trasparenti prendono il sopravvento”.
L’obiettivo di questo articolo era quello di chiedere le dimissioni di Lorenzo Ornaghi. E lo era ancor prima di aver raccolto da Roberto Grossi le dichiarazioni che leggete qui sopra, ma dopo aver interloquito con lui la mission di questo nostro testo si è ulteriormente rafforzata. Su Ornaghi siamo tornati più e più volte. Articoli, news, editoriali: tutto per segnalare la pochezza, il disinteresse, il pressappochismo, la supponenza con cui il ministero è stato governato durante questi mesi di esecutivo Monti. Sia che il commissariamento si confermi lecito e opportuno (?!), sia che – così pare emergere – si prefiguri come un pretesto o, peggio, come uno strumento da parte di alcuni di mettere le mani su un museo cruciale per la vita culturale del Paese, le cose non possono essere gestite così. L’Italia non si può permettere ulteriori danni di immagine, le decine di migliaia di operatori che a vario livello lavorano, confrontandosi duramente sul palcoscenico internazionale, nel mondo dell’arte e della cultura, non ce la fanno più a portarsi sulle spalle l’onta di essere italiani. Non ce la fanno più a gestirsi colpe non loro. Tutto questo è inaccettabile e, a fronte di questo, non risultano più procrastinabili le dimissioni di un ministro che non c’è mai stato. In tal senso, sull’editoriale del numero di Artribune Magazine in queste settimane in distribuzione, arriviamo a chiedere la soppressione dell’intero ministero, ormai trasformato in un carrozzone capacissimo soltanto di far danni.
Un pasticcio del genere in Francia (immaginatevi il commissariamento del Centre Pompidou) avrebbe portato alle dimissioni del ministro della cultura. Un pasticcio del genere in Spagna (immaginatevi il commissariamento del Reina Sofia) avrebbe portato alle dimissioni del ministro della cultura. Dunque Ornaghi, visto che fa parte di un governo che punta a riportare nel Paese standard europei, deve dimettersi o deve essere dimissionato. Subito.
Massimiliano Tonelli
(video di Claudia Colasanti)
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