Bosnia-Erzegovina, inaspettatamente
Il Paese che non ti aspetti. Perché a Sarajevo, e non solo, tutto è crollato, meno la voglia di fare cultura e di dimostrarsi vivaci intellettualmente. E allora ecco i musei, le biblioteche, i locali notturni tutti improntati all'arte, i nuovi cantieri e le gallerie più o meno commerciali. E allora ecco, anche, quello che gira non solo nella capitale, ma in tutte le altre città del Paese. Un Paese povero e un povero Paese, che però leggendo in filigrana questa inchiesta... Seconda tappa del nostro reportage dall’ex Yugoslavia.
La Bosnia-Erzegovina vive una situazione molto complessa. Isolata da alte montagne, il territorio diviso in due entità, mantenuta da aiuti economici, vigilata da una costante presenza militare straniera, ha faticato a rimarginare le ferite dall’assedio più lungo nella storia delle guerre moderne. Sarajevo, un tempo definita “la Gerusalemme dei Balcani” per la sua molteplicità di lingue, religioni e culture, ha dimostrato una forza e una vivacità uniche, tanto che, anche durante la guerra, l’attività culturale non si è mai fermata. La scena contemporanea del Paese si raccoglie principalmente intorno alle città di Banja Luka e Sarajevo, poli artistici in continuo fermento. Gli artisti hanno svolto un ruolo attivo nella lenta ripresa della Bosnia-Erzegovina e oggi la loro opera è più che mai significativa per la ricostruzione culturale del Paese.
In occasione del ventesimo anniversario dello scoppio della guerra, la prestigiosa fondazione Open Society Balcani si è impegnata a organizzare una serie di iniziative e progetti, riconoscendo e promuovendo gli sforzi della trasformazione positiva nella regione balcanica, grazie alle dinamiche di comunicazione e collaborazione che si sono sviluppate. Attraverso il forum Public Dialogues organizzato nel settembre 2011 a Sarajevo da aMAZElab in collaborazione con la Soros Foundation, si sono voluti affrontare gli spettri del passato, ma con uno sguardo orientato verso un futuro nuovo, diverso e alternativo, con interventi di artisti, curatori, attivisti che hanno contribuito al cambiamento culturale dei Balcani.
TITO NOSTALGIA?
Si racconta che, all’epoca di Tito, esistevano una dozzina di canali televisivi, ora solo tre; che nello splendido Teatro Nazionale di Sarajevo erano impegnate circa 50 persone, ora solo 6; che tutti si sentivano più sicuri, più istruiti e più felici.
Esiste davvero la nostalgia dei tempi di Tito? Sembra proprio di sì. In un momento come quello attuale, con forti incertezze per il futuro e l’idea di un sistema democratico che vacilla, in molti angoli delle città dei Balcani si vedono gruppetti di “veterani” che espongono effigi di Tito, bandiere rosse e vecchi slogan. Curiosamente, coloro che erano critici verso il sistema di Tito, oggi sono quelli che più vivono la nostalgia e il sentimentalismo verso il sistema della ex-Yugoslavia. Le giovani generazioni hanno una percezione totalmente diversa della guerra e della regione, sono più liberi e aperti, hanno meno tensioni, hanno strumenti diversi di lettura del passato e del presente.
Ad esempio, in Kossovo parlano quasi solo inglese e guardano fortemente al futuro piuttosto che al passato. A Sarajevo, però, gli studenti amano riunirsi nel grande caffè sul parco dei musei chiamato Mi Smo Titovi, una sorta di titolo che inneggia ai bei tempi col grande Tito.
I Paesi della ex-Yugoslavia non hanno avuto tutti lo stesso passato: ognuno ha vissuto una storia differente, ognuno è stato parte di un percorso parallelo ma diverso. Di fatto, oggi non esiste nessuna reale democrazia, solo una lunga, attesa utopia.
Per molti la guerra è stata organizzata solo per ri-locare i beni e le proprietà dal pubblico al privato, per creare diversità nelle classi sociali, invece dell’equità vigente col sistema socialista di Tito.
ARTE E VITA A SARAJEVO
Gli intellettuali del Paese ritengono che “ogni memoria è sempre meglio di qualsiasi amnesia”, e confermano che “solo l’arte può aiutarci ad articolare un discorso che esca dalla ideologia della guerra”. Sarajevo non è un marasma di case in cui le persone vivono separate: è un arcipelago di quartieri in cui tutti si conoscono, da vicino e da lontano. Lo scrittore Predrag Madvejevic, autore di libri come Breviario Mediterraneo ed Epistolario dell’altra Europa, parla di “confini visibili e invisibili”, affermando: “Sono nato in un Paese senza frontiere e poi le frontiere sono state tracciate”. Nonostante la sottile linea rossa che sembra dividerla e la presenza di edifici ancora lacerati, in parte ricoperti dai graffiti di un gruppo di giovani con le cosiddette “rose di Sarajevo” (buchi nell’asfalto causati dai colpi di mortaio e colorati di rosso), la città si presenta in tutta la sua bellezza.
Adagiata sulle sponde del fiume Miljacka con la sua dozzina di ponti, le radici romane, poi ottomane (c’è ancora lo splendido caravanserraglio) e l’imponenza degli edifici di epoca austroungarica, Sarajevo offre una vita notturna molto animata, dove grande importanza ha la musica, come in tutta la tradizione balcanica. Kino Bosna, un ex-cinema che negli anni dell’assedio non smise mai di fare programmazione, è un locale pubblico tipo balera, dove ogni lunedì sera per solo un euro si ascolta e balla ottima musica balcanica con un bicchiere di rakja, la grappa locale. I giovani preferiscono tuttavia spostarsi in luoghi come Disco Postum, Aeroplan e Basement, dove si balla fino all’alba.
Punto d’incontro per la popolazione locale è Baharana, caffetteria e ristorante con cucina tipica bosniaca, in una bella ambientazione all’interno del caravanserraglio ottomano. Molti sono i bookstore che hanno aperto nell’ultimo anno con annesse caffetterie, spazi d’incontro e per reading. Pasticcerie come la rinomata Kiaser, sulla via principale Tito Ulica, sfornano fagottini con verdure e formaggi di capra, o imperdibili sfoglie di ciliege.
Importanti festival internazionali animano la vita culturale: il principale è sicuramente quello del cinema, che si svolge in luglio e attira appassionati e addetti al lavoro da tutto il mondo; e poi quello del teatro sperimentale (Mess) in ottobre, e infine il JazzFest a novembre.
ISTITUZIONI DI OGGI E DI DOMANI
La Biblioteca Nazionale, tra le più belle e importanti dell’Europa Mediterranea, contava oltre 25 milioni di volumi, per lo più andati in fumo durante l’assedio. La ricostruzione, iniziata nel 1994, terminerà nel 2014: venti anni di lavori e sacrifici. Qui si è potuto vedere uno dei più toccanti e significativi interventi artistici dopo la guerra: Jannis Kounellis ha letteralmente “murato” nelle nicchie del chiostro della biblioteca centinaia di volumi bruciati, dando vita a un’installazione unica. L’opera fu realizzata grazie all’organizzazione Ars Aevi, progetto coraggioso iniziato da Enver Hadziomerspahic durante l’assedio, a significare la necessità di “vita attraverso l’arte”. Oggi la Fondazione Ars Aevi ha sede nei pressi dell’ex-stadio olimpico, conta centinaia di opere di artisti come Beuys, Pistoletto, Kosuth, Abramovic, Kapoor, Boltanski, Nagasawa, frutto per lo più di donazioni da parte di un’ampia rete di musei stranieri e degli artisti stessi. Inoltre, in collaborazione con Renzo Piano in qualità di ambasciatore Unesco, c’è in cantiere l’Ars Aevi Museum, la cui apertura è prevista, come per la Biblioteca Nazionale, per il 2014.
Altrettanto importante per una diffusa azione sul territorio e tra i giovani è il SSCA – Sarajevo Center for Contemporary Art, organizzazione non profit senza spazio espositivo, che utilizza la città come “galleria” e luogo d’azione. SCCA realizza workshop, mostre, installazioni urbane, seminari, ricerche, pubblicazioni, sia a livello locale che internazionale. Aspetto interessante del centro è una sezione interamente dedicata ai media, in particolare alla produzione di video d’artista, come la recente opera di Sejla Kameric e Anri Sala, 1395 giorni senza rosso, sui lunghi giorni dell’assedio di Sarajevo.
I NUOVI SPAZI
Nell’ultimo paio d’anni, una serie di nuovi spazi espositivi e centri culturali hanno aperto in città. Tra questi, Kriterion Art House, un progetto-pilota che vede coinvolti giovani studenti della vicina Accademia di Belle Arti. Si tratta di un ex-cinema riconvertito in spazio multifunzionale, caffetteria, cinema, teatro, sala espositiva e conferenze. Nella stessa zona ha sede anche il celebre locale Zvono, primo luogo alternativo per mostre e incontri degli artisti negli anni ’70. A memoria del percorso di rilievo attuato dai fondatori del gruppo, è stato recentemente istituito l’unico premio per giovani artisti della regione. Il Premio Zvono è organizzato da SSCA ed è ospitato presso una piccola ma attivissima galleria del centro città, 10mq/Duplex, gestita da un curatore francese che di Sarajevo si innamorò una decina di anni fa e decise di trasferirsi con la propria passione per l’arte. Altra galleria in pieno centro, con vetrine sulla via di maggior passaggio, è Java Gallery, di fatto l’unica vera galleria commerciale della città, che offre una programmazione in prevalenza dedicata agli artisti della Bosnia-Erzegovina, tra cui Shoba, Damir Niksic, Gordana Andelic-Galic.
Del tutto inusuale è il progetto ARK, nel bunker anti-atomico fatto costruire da Tito alla fine degli anni ’50 sotto la montagna di Konjic, nei pressi di Sarajevo. 6.500 mq, 12 blocchi collegati, un labirinto di passaggi segreti, costato quattro miliardi e mezzo di dollari e mai usato: uno spazio straordinario in cui la scorsa estate si è aperta la Biennale of Contemporary Art Sarajevo, sotto la direzione di Edo e Sandra Hozic.
Claudia Zanfi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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