Una rivista ci salverà. O magari una rivista ci seppellirà. Panorama variegato, quello della stampa di settore, specie quando il settore in questione copre in maniera trasversale un ambito eterogeneo, abbracciando moda e design, arte e architettura. Ibridazioni e commistioni tra “cose belle” che, a dispetto dell’era digitale, trovano ancora la propria ragion d’essere nella labile ma affascinante eternità della carta.
Apre a Venezia, nello Spazio Punch che anima la Giudecca, L’Edicola ideata da Saul Marcadent: un appuntamento biennale per indagare, con i protagonisti, l’evoluzione di un’editoria di nicchia. Cinque le testate invitate a raccontarsi, grazie al supporto di collaboratori e amici artisti, in una mostra e in una piattaforma di dialoghi da condurre insieme agli studenti dello IUAV e alla redazione di Fantom. Il catalogo degli eroi prevede la stilista Veronica Panati, che accompagna Pizza; il fotografo Nacho Alegre per Apartamento; gli artisti Ignacio Uriarte ed Elena Nemkova, a braccetto rispettivamente di San Rocco e Unflop paper. Infine il collettivo Foundland, sponsor di Krisis. In regia Marcadent, che racconta così presupposti e prospettive dell’avventura.
Le riviste che hai proposto per L’Edicola escono, in linea di massima, due volte l’anno. Logico come la scelta sia influenzata da motivi economici: parliamo di formati e qualità di stampa particolarmente costosi, e di un mercato che potrebbe non assorbire una produzione maggiore. C’è però anche un motivo “ideologico”? Non hai la sensazione che i temi trattati da queste riviste abbiano bisogno di tempi di decantazione lunghi, per essere raccontati? E non hai l’impressione, sfogliandole, di una sospensione temporale, di un hic et nunc dilatato?
La scelta è dettata da ragioni economiche ma anche ideologiche, come dici tu. Più che informare, queste riviste approfondiscono, ripescando temi o autori finiti (o rimasti) nel dimenticatoio, o anticipando il futuro prossimo. Le scordi nella libreria domestica insieme ai libri, le riprendi dopo parecchio tempo e ti accorgi che non hanno perso smalto; sono ancora interessanti, il loro contenuto non ha scadenza.
L’Edicola affonda le proprie radici sul web, con il lavoro che fai attraverso il tuo blog This is not paper. Come interpreti il rapporto tra online e cartaceo? Quest’ultimo supporto è davvero destinato alla morte?
This is not paper mi è servito per monitorare una situazione, provare a fotografarla nella sua discontinuità. Penso che la Rete sia uno strumento utile per queste pubblicazioni: alcune vendono più copie online che in libreria. Parallelamente ci sono progetti nati e cresciuti sul web che, per ragioni economiche, non posso essere stampati e vivono questa condizione con grande frustrazione.
Il legame sempre più stretto con la Rete e i media digitali ha prodotto un nuovo interesse per la carta stampata. Altrimenti non mi spiego la nascita, da un paio di anni a questa parte, di numerose riviste non tradizionali, indipendenti (essere indipendenti, secondo me, ha più a che fare con i contenuti che con la tiratura e la distribuzione). Nel nostro Paese, è innegabile, c’è un grosso fermento, molta attenzione, nascono festival e panel di discussione dedicati. Alessio Ascari di Kaleidoskope ha detto che i magazine, in Italia, ci rappresentano più dei musei. Beh, penso abbia ragione e penso anche che alcune esperienze editoriali abbiamo parecchia influenza nelle dinamiche artistiche e culturali.
Le riviste che proponi sono dunque feticci oppure oggetti feticisti per amanti della carta, bibliofili folli degni dell’Autodafé di Canetti?
Le riviste selezionate per L’Edicola sono anche dei feticci, sì. Alcune più, altre meno. La cura riservata alla forma le rende oggetti collezionabili. Stanno in mostra nella libreria di casa, con il dorso in bella vista.
La tua selezione, per quanto soggettiva e quindi suscettibile delle critiche di quanti sono stati esclusi, coglie due visioni di massima del modo di trattare “le cose belle”. Una se vuoi “politica”: con Krisis in modo dichiarato e Apartamento in modo più intimo a raccontare in modo critico il contesto in cui viviamo. E una più evasiva, con Pizza e Unflop, che tendono a estraniarsi dal generale per concentrarsi sul particolare, fornendo una fotografia decisamente più estetizzata del contemporaneo. A quale lettura ti senti più vicino?
La selezione doveva essere ristretta per poter lavorare nel migliore dei modi con le riviste coinvolte, invitate a scegliere un contributor e a sviluppare un intervento preciso per il progetto. Ne ho prese in esame molte, in collaborazione con Augusto Maurandi e Lucia Veronesi di Spazio Punch. Alla fine ho privilegiato, per questa prima edizione, l’eterogeneità (per contenuti, tiratura e distribuzione). Ad accomunarle, una visione progettuale limpida, la ricerca di un equilibrio tra forma e contenuto. Non sono state prese in considerazione pubblicazioni esclusivamente teoriche e visual magazine. Mi ha incuriosito, a Milano, il progetto itinerante Archizines, curato da Elias Redstone, e vedere come sessanta riviste d’architettura – alcune patinate e distribuite in decine di migliaia di copie, altre stampate in bianco e nero su un foglio A3 – possano convivere serenamente.
Venendo alla tua riflessione, mi sento vicino a una lettura più critica, meno estetizzata. Nella tua domanda non citi un’unica rivista fra le cinque: San Rocco. È una rivista d’architettura ma, pur specialistica, ha un taglio leggero e puoi leggerla anche se non sei un architetto. Parla di errori più che di perfezione, non si prende troppo sul serio ma innesca un dibattito teorico, critico. Parallelamente, coltiva la forma.
Francesco Sala
Venezia // fino al 30 giugno 2012
L’Edicola
a cura di Saul Marcadent
SPAZIO PUNCH
Giudecca 800/o
[email protected]
www.spaziopunch.com
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