La nostalgia cosmica
Una panoramica. Lo si dice spesso, ma stavolta il termine calza a pennello. Perché qui si parla di nostalgia e spazio-tempo, e di come piegare quella che Kant chiamava “estetica trascendentale”. Spaziando da Asimov a Tommaso Pincio, da Alighiero Boetti a Walt Whitman. Anzi, a una parentesi di quest’ultimo. E non è un dettaglio.
Ho il sospetto che la nostalgia abbia a che fare con la pittura.
Ho il sospetto fondato che la nostalgia abbia a che fare con la scrittura.
Ho la quasi certezza che la nostalgia abbia a che fare con tutto ciò che tende, in qualche modo, a piegare e dispiegare lo spazio-tempo. Fuori da ogni metafora e dentro tutte le metafore possibili.
Ho l’impressione che la pittura e la scrittura siano i luoghi ideali dell’ucronia. E viceversa, naturalmente.
Mi spiego meglio: chi ha letto I, Robot di Isaac Asimov sa che è umanamente possibile (e forse necessario) scrivere una raccolta di racconti che ruotano attorno ai paradossi generati dalle leggi della robotica (praticamente un manuale di psicoanalisi per robot) che, tuttavia, si occupi a fondo delle contraddizioni umane; chi ha visto i quadri di Matthias Brandes sa che è umanamente possibile (e forse necessario) disegnare delle navi scolpite nella roccia e poggiate su tavoli di legno coperti da tovaglie bianche, e farle sembrare gigantesche e morbide, immobili e in viaggio.
In entrambi i casi, chi legge o osserva, prova un senso di nostalgia (direi) primordiale, (azzarderei) specie-specifica, (banalizzerei) istintiva. Ucronica, insomma, senza tempo (filologicamente). La nostalgia dei bivi possibili, delle vite che non potremo mai vivere. Il rimpianto per tutto ciò che è umanamente possibile (e forse necessario) fare e che non possiamo fare più. La nostalgia (europea) del passato, quella (afro-americana) del presente e quella (brasiliano-portoghese) del futuro, tutte in una.
La nostalgia, nelle sue diverse gradazioni, ha un rapporto obliquo con lo scorrere del tempo. Non è come la speranza, l’aspettativa, l’illusione (tutte orientate al futuro), né come la rinuncia, l’abbandono, la disillusione (immobili nel passato). La nostalgia osserva il passato, esamina il presente e guarda il futuro. S’impone come una costante esistenziale e piega il tempo e lo spazio costruendo un cortocircuito che ricorda il nastro di Moebius. Escher è un creatore di nostalgie senza vie di fuga, per fare un esempio più che scontato (ma proprio per questo esemplare, appunto). La tensione alla Luna in Tommaso Landolfi è la nostalgia dell’impossibile ma possibile per gli altri. In Cancroregina (del 1950) l’astronave che sale a spirale quasi avvitandosi nel cielo verso la Luna con a bordo l’io narrante (un aspirante suicida) e un pilota autodichiaratosi folle, e che rimarrà nell’orbita terrestre senza mai raggiungere la Luna, è un soffocato lamento di nostalgia dell’autore: non ho mai raggiunto la Luna, né la raggiungerò mai, ma, presto, altri uomini la raggiungeranno.
La struttura dantesca di Hotel a zero stelle di Tommaso Pincio è un tentativo di suggerire una via di fuga da questo tipo di nostalgia cosmica, sul terrazzo di un albergo senza stelle da cui però è possibile tornare a riveder le stelle. Gli ospiti delle stanze dell’albergo (i cui piani sono l’inferno, il purgatorio e il paradiso) sono ombre di scrittori (da Kerouac a Wallace, da Simenon a Marquez, Pasolini e Orwell, solo per citarne alcuni), nostalgie raccontate con nostalgia da un nostalgico scrittore che è anche un nostalgico pittore e che cerca la sua redenzione nostalgica, naturalmente. E per spiegarsi meglio, lo scrittore Tommaso Pincio ci racconta le nostalgie parallele di Caravaggio, Andy Warhol, Christopher Wool, Alighiero e Boetti, solo per citarne alcuni. L’hotel ucronico di Pincio è una nostalgica metafora della nostalgia cosmica, che è stretta parente del fallimento, dell’incompiutezza, della molteplicità.
“(Sono vasto, contengo moltitudini.)”, scrive Walt Whitman in una parentesi del suo poema Canto di me stesso. Le persone vaste, le persone dall’anima molteplice, in genere vorrebbero percorrere tutti i bivi del possibile per raggiungere un unico punto: la soluzione della loro personalissima ossessione. Per questo sono nostalgici, perché in fondo sanno che il demone non è facile da sconfiggere, perché è paradossale. Tutti i demoni sono paradossali. E il paradosso non prevede soluzioni, può essere solo descritto, dipinto, suonato, danzato, fotografato, scolpito, eretto, mimato e così via.
Cristò
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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