Forse è sempre esistito, forse è una figura senza tempo, anche lui: un tipo psico-socio-logico al pari del rivoluzionario, dell’utopista, del condottiero o dell’operaio. Si tratta del cospiratore, del tessitore di complotti, di colui che crea piani eversivi e agisce nell’ombra cercando di indirizzare la Storia e, al tempo stesso, di dissolversi in essa.
Se esistesse “davvero”, sarebbe una forma possibile di concrezione umana, simile a un eroe negativo. Uno che spesso riesce a cambiare le epoche, nel bene e nel male. Giuda, Bruto, Jago. Figure così. Ma anche servizi segreti deviati, pezzi dello Stato fuori controllo, volti anonimi mossi da ideologie e follia. Spesso è difficile credere all’esistenza di un “tipo umano” così fatto. Preferiamo pensarlo come un “accidente della storia”, anche se poi dovessimo scoprire che si ripete e moltiplica uguale a se stesso in diversi tempi e luoghi. Spesso preferiamo pensare che gli eventi più influenti sulle sorti del globo siano troppo “significativi” per esser frutto di un “semplice” complotto, di un disegno pensato da poche anime mosse da interessi personali, ideali visionari o pura follia. Ci fa stare più tranquilli pensare che tutto abbia una spiegazione ufficiale e razionale, sulla quale poter costruire la nostra vita civile di elettori, cittadini e lavoratori.
Così ci affezioniamo alle versioni ufficiali fornite dai media. In questo senso, la strage di Piazza Fontana, avvenuta alle 16,37 del 12 dicembre 1969, è una pietra di paragone, un case history. Su di esso si concentra l’attenzione dell’ennesimo capitolo di quella “cinematografia civile” alla quale ci ha abituati Marco Tullio Giordana.
Già autore de I cento passi e La meglio gioventù, Giordana ha il pregio di definire con pazienza e lucidità un’ipotesi possibile, ingegnosa e verosimile. Il suo sguardo s’interessa alle vite dei due protagonisti, Pinelli e Calabresi, che vengono quasi trasfigurati, come in una tragedia greca, in due forze contrapposte. Usando un cinema dai toni morbidi e spesso umanizzanti, ne mostra il lato intimo: la passione per la libertà e per la pace del primo (interpretato da un intenso Pierluigi Favino) e la dedizione al nobile compito di difensore dell’ordine del secondo (a cui Valerio Mastandrea presta un volto à la Clooney).
A dispetto delle polemiche alimentate dai media, Giordana fa un film su una strage che dista da noi molte ideologie fa. Non dovendo più dimostrare il torto e la ragione, poiché il muro è caduto e la guerra fredda è cambiata, Giordana può analizzare il movimento delle infiltrazioni sistematiche da parte dei servizi dello Stato (alcuni deviati), avvenute negli Anni Settanta dentro i gruppi di estrema sinistra e di anarchici. Riflettendo sul rapporto tra il male attivo e la politica, il regista illustra come il conservatorismo dei cospiratori abbia ostacolato l’eversivismo giovanile e utopico, a sua volta strumento di un altro piano eterodiretto e teso a fare dell’Italia una possibile provincia sovietica.
Siamo disposti ad ammettere il folle, da Nerone a Hitler, come una figura storica che perpetra il male “per accidente”, perché è schiavo della sua patologia. Ma il cospiratore, l’uomo che agisce dietro le quinte occultando il proprio operato e facendolo passare come opera altrui, è ancora una figura che gli storici tendono a ignorare; e non soltanto gli storici, come prova il fatto terribile e paradossale delle spese processuali accollate dalla sentenza ai parenti delle vittime (e soltanto nell’ultimo grado di giudizio saldate dal Governo). Un atto che da solo griderebbe vendetta, ma che, non esistendo, “i cospiratori” non dovranno pagare.
Nicola Davide Angerame
Marco Tullio Giordana – Romanzo di una strage
Italia / 2012 / 129’
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