O la borsa o l’arte! Anzi, entrambe
Comprare “azioni di opere d’arte”. Ci avreste mai pensato? Eppure le borse dell’arte già esistono e sono sempre più numerose. L’idea è trattare le opere come vere e proprie multinazionali del valore. In attesa, magari, che arrivi il compratore finale.
La Cina ne ha già sei e altre trenta in arrivo. La Francia ne aveva lanciata una lo scorso anno, di cui si son perse le tracce. Ma quella in arrivo a Lussemburgo si dice sarà la prima Borsa dell’Arte veramente regolamentata, pronta ad aprire i battenti con l’arrivo delle ultime autorizzazioni necessarie per dare il via a una piazza tutta europea.
Il suo nome è SplitArtTM e consiste in un sistema di commercio finanziario che permette a investitori qualificati di acquisire azioni relative a opere d’arte di grande valore. Azioni di opere d’arte? Dror Chevron, General Manager di SplitArtTM, spiega che verranno utilizzati dei “certificati”, acquistabili proprio come le azioni di una qualsiasi società quotata nella Borsa valori, dando la possibilità di condividere il bene artistico a chi non può acquisirne uno intero, privilegio di pochi.
I possessori di opere che vogliono venderle devono entrare in contatto con una banca fiduciaria; essa inizierà il processo valutativo e di cartolarizzazione che produrrà gli Art Certificates. Quando saranno state fatte delle offerte per tutti i certificati, l’asta verrà chiusa. In seguito, ogni offerente pagherà lo stesso prezzo per ogni certificato. L’offerta più bassa determinerà il prezzo assoluto, se questo sarà però superiore al minimo prezzo stabilito per ogni certificato. Questi documenti possono essere comprati e venduti solamente attraverso membri di mercato riconosciuti, come banche e istituti finanziari. Una volta comprato, il certificato può venire rimesso in vendita a discrezione dell’acquirente, proprio come funziona con i titoli azionari. Se un compratore riesce ad acquistare il 100% dei certificati di un’opera, può entrare in possesso fisico dell’oggetto, mentre se arriva all’80% può costringere gli altri a vendergli le restanti quote.
Come dicevamo in apertura, la Cina ha lanciato il suo primo Art Exchange nel 2009 a Shanghai, coinvolgendo gli investitori in una serie di business legati all’arte: dalla transazione di diritti di proprietà culturale agli investimenti in opere, al commercio di azioni in arte. Altre Borse, come quella di Tianjin o Zhengzhou, si limitano a commerciare le partecipazioni di un’opera. Queste piazze cinesi però operano per la maggior parte senza regolamentazione, mancando di trasparenza nelle proprie politiche e negli standard.
Lo scorso novembre il Consiglio di Stato Cinese ha dato avvio a una campagna di regolamentazione del mercato borsistico, con provvedimenti restrittivi che hanno colpito centinaia di partecipazioni che erano sviluppate negli ultimi anni. Ad esempio, Tianjin Art Exchange ha visto crescere il valore di due opere di Bai Gengyan del 1700% in un paio di mesi, raggiungendo cifre cinquanta volte superiori ai prezzi che l’artista segna nelle aste. Il commercio delle “azioni” di Gengyan è stato così sospeso a marzo 2011, per ridurre i rischi e salvaguardare gli interessi degli investitori.
L’Art Exchange parigino offre azioni in un range di prezzo compreso tra i 10 e i 100 euro, per opere offerte da gallerie dal valore di 100mila euro o più. La commissione per la Borsa è del 5%, ma se non è in grado di vendere il 20% delle azioni in sei mesi, la galleria può riprendersi l’opera e tenersi la cifra guadagnata fino a quel momento. Anche qui, se un investitore compra l’80% di azioni di un’opera, si garantisce l’opzione di comprarla, togliendola dalla piazza.
Le opere di apertura erano sei un anno fa, tra cui un’installazione di Mike Kelley da 1 milione di dollari della Galerie Hussenot e un’opera di Sol LeWitt di Yvon Lambert. Qui sta la differenza con la Borsa lussemburghese: solo le gallerie possono vendere opere, e finché sono nel listino possono comunque esporle al pubblico oppure possono cederle alla Borsa, ma in questo caso essa dovrà prestarla a istituzioni museali. La Bourse parigina doveva inoltre aprire una galleria essa stessa, ma a quanto si vede dal sito, è tutto fermo a marzo 2011.
È sicuramente un nuovo modo per rendere liquida un’opera di cui ci si vuole liberare. Ma i compratori che ragioni hanno? Che gusto c’è nel possedere un pezzettino di un’opera che non potranno mai gustarsi da vicino? Sicuramente non è affare da collezionisti d’arte nel vero senso della parola, ma da investitori desiderosi di inventare un ulteriore mercato per diversificare i propri risparmi. Sta nascendo così una nuova figura di collezionista, una sotto-categoria che rappresenta la naturale evoluzione dello “specullector”, una figura che si avvicina sempre di più a quella dell’investitore finanziario. E perché no, visto che l’arte somiglia sempre più a un’entità astratta e i suoi strumenti si avvicinano all’inconsistenza della finanza.
Dopotutto, se l’economia è passata dal capitalismo consumistico al capitalismo finanziario, l’arte, passata anch’essa attraverso la fase consumistica, non può che seguire la stessa strada. Se proprio deve esistere un modello di Borsa per l’arte, magari nell’attesa che arrivi un compratore finale, non sarebbe male dare in prestito queste opere ai musei, piuttosto che tenerle chiuse in qualche magazzino.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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