Perdere un teatro in Italia
Mentre si fanno i conti con le recenti elezioni politiche in alcuni Paesi europei, l’Italia presenta una situazione drammatica a livello culturale. E non parliamo soltanto della ben nota crisi dei musei d’arte contemporanea, ma anche dell’ambiente delle arti performative. Qui facciamo un breve bilancio di cosa sta accadendo e di quali misure stanno adottando alcune realtà nostrane.
Circoscrivere al PIL l’indicatore del benessere, anche economico, di un Paese è una prospettiva miope. Da tempo negli ambienti culturali circolano termini come FIL, a indicarne la felicità, o BIL, per il benessere. Che la cultura tout court incida sul welfare di un Paese, sull’aggregazione e sulla socialità, in particolar sulle cosiddette fasce deboli (adolescenti e anziani), lo ha capito bene uno Stato come la Cina che, dopo aver basato la sua fortuna sulla produttività e in un momento in cui dispone di forte liquidità, la usa per progetti culturali, per la valorizzazione e la creazione di teatri in tutta la Repubblica Popolare. Proprio in un momento in cui in Italia i teatri chiudono.
Corsi e ricorsi storici: nel II secolo a.C. Roma, desiderosa di espandersi militarmente, capì dalla colta Grecia che, se voleva davvero controllare il mondo, avrebbe dovuto appropriarsi di ciò che più lo connotava, e cioè di una modalità culturale da loro concepita e ben delineata.
Perdere un teatro in Italia oggi, oppure un festival (Primavera dei Teatri di Castrovillari, vacilla) e non riuscire a chiudere una stagione teatrale (com’è accaduto al direttore artistico del CRT di Milano, Silvio Castiglioni) per difficoltà economiche è un segno dei tempi di crisi, una ferita inflitta alla città e ai suoi cittadini, che perdono non solo una programmazione culturale più o meno ragionata, ma soprattutto perdono un luogo d’aggregazione e di incontro dove fare comunità, dove far circolare le idee, i vissuti, dove le domande che interrogano il presente trovano una dimensione concreta.
Tutte queste realtà, negli anni, con ostinazione, hanno offerto il meglio del teatro di ricerca, quello invisibile ma tenace che si muove spesso a latere delle istituzioni. Così il Teatro Valle di Roma, ex roccaforte dell’ETI, si è inventato da quasi un anno una modalità di occupazione che è diventata una pratica condivisa di programmazione che ha visto formarsi un cartellone grazie alle adesioni delle compagnie che si sono mobilitate e hanno sostenuto un progetto che, nella modalità assembleare, ha formato e rafforzato un pensiero attorno alla scena contemporanea. Il Teatro San Martino di Bologna, dopo aver chiuso i battenti il 1° maggio, è stato rilanciato dagli ex allievi della scuola di formazione per attori con una tre giorni autogestita e autofinanziata con un messaggio preciso: questo luogo deve tornare a essere un teatro, chiunque lo prenda in gestione.
La notizia di questi “funerali” rimbalza nei blog di settore. C’è qualche tentativo per accendere un riflettore (come la lettera aperta di Renato Palazzi per salvare Primavera dei Teatri o quella di Silvio Castiglioni) ma la protesta non risuona compatta, non si crea una squadra pronta a scendere in piazza per manifestare un disagio nazionale proveniente dal mondo della cultura, piuttosto si sfrangia in singole campagne di protesta, spesso a carattere locale, che rischiano di non avere la giusta eco, anche mediatica.
In Italia assistiamo alla nascita del Progetto CReSCo, un Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, nato nel 2010 dalla volontà di operatori e strutture per aiutare la produzione e la diffusione della scena contemporanea. Dal fronte delle compagnie si assiste alla nascita della Cooperativa E, che unisce quattro realtà romagnole (Fanny&Alexander, MenoVenti, Gruppo Nanou e ErosAnteros) e che cerca di affrontare le difficoltà gestionali e amministrative unendosi, senza perdere ognuno la propria specificità e riconoscibilità. Ma sono anche altre le compagnie che si sono unite per fronteggiare in modo creativo i disagi: si pensi a CRAC – Collettivo Ricerca Arti Contemporanee, che fonde due gruppi preesistenti per allargare le proposte produttive e avere così maggiori chance. Ma anche le rassegne si attrezzano: il neonato Festival Passaggio a Sud Ovest unisce quattro compagnie (Teatro delle Ariette, Cantharide, Teatrino Giullare e Carta|Bianca), nel sottotitolo recita Idee di cultura teatrale per il territorio e immagina come il teatro possa attivamente formare i cittadini e produrre idee per il futuro della società.
Che la vittoria di Hollande e le elezioni in Grecia possano porre realmente le fondamenta per la nascita di una nuova Europa? Parigi, Atene, Berlino: si chiedono con forza nuovi metodi per affrontare la crisi, ribaltando la situazione politica in tre Paesi cardine. Il mondo culturale italiano riuscirà, con antenne mobili, a captare queste ventate di aria fresca e a trasformarle in progetti concreti per il nostro Paese, che sempre più necessita di stare dentro alle politiche culturale europee?
Agnese Doria
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