“Non abbiamo altra via se non indagare nuovi territori. Quelli dell’innovazione e della creatività. Aprire nuove strade. Temi che ci sembravano naïf o settoriali solo qualche mese fa, oggi sono di grande attualità. E su questi dobbiamo investire“, continua il presidente di banca. Qualcuno direbbe “bene!”, qualcuno tirerà su il naso contro le banche, qualcuno dirà “era ora”.
Il tema reale è che manca totalmente un qualsiasi ecosistema visibile e riconoscibile dell’innovazione. Non esiste una filiera. Non esiste massa critica. Niente numeri ufficiali. Tutto è frammentato in mille rivoli e lasciato a scomposte intuizioni. Sia personali che istituzionali, ma comunque scomposte.
Pensate che in Italia si investe in capitali a rischio, ovvero start-up, solo l’1 % di quanto non si investa in Europa. Non è solo una questione economica, ma sostanziale. Significa non credere in idee nuove e fresche, e dunque a rischio fallimento.
In realtà, checché se ne dica, non mancano i denari, ma la cultura. Questa la può portare solo una diffusa cultura ed estetica del contemporaneo. Che dovrebbe abituarci a frequentare territori di diversità e a essere propensi al cambiamento. Nonostante tutto, stanno nascendo incubatori, spin-off, giovani imprese che mixano arte, patrimonio e tecnologie. Su questo abbiamo moltissimo da fare e da sperimentare. Non sono solo gli investitori che devono essere risvegliati, ma anche gli operatori culturali e artistici.
Dobbiamo cercare nuove vie, come diceva quel presidente di banca. Creare nuove start-up e non nuovi musei che non sappiamo mantenere. Creare collegamenti con l’impresa che non siano un logo su un invito, che non interessa più a nessuno, ma fare imprese innovative. Usare il patrimonio storico, ma non come giacimento. Metterci la testa e non l’iPad.
Rendiamo il nostro sistema più vicino a un incubatore che a una galleria o museo. Incubiamo culture. Rischiamo. E sfruttiamo il mare di cacca dove stiamo. Del resto, diceva un poeta di Genova, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior“.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda al politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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