Raitunes. L’arte contrabbandata in radio
Sta diventando una trasmissione di culto. Il suo inventore, Alessio Bertallot, è un musicista e deejay di grande esperienza e instancabilmente curioso. Ogni sera, dalle 22.30 alle 24, conduce “Raitunes” su Rai Radio 2. Dove trasmette nuove sonorità e, caso unico nella radio, l'arte contemporanea.
Come hai iniziato questa tua nuova avventura?
Spesso la musica suggerisce l’uso di immagini artistiche o emotive. Ho pensato di abbinarle l’arte nel suo divenire. Mi piace vedere l’artista che produce e avvertire che si sta creando un clima tra l’artista, noi in studio, la musica e l’opera che viene realizzata. Credo che sia un territorio che va esplorato.
In che modo?
Chi s’intende davvero d’arte sappia che qui c’è una tribuna utile per esporre opere.
Come è nata questa tua idea?
Nei musei d’arte moderna mi sento un bambino e rimango stupito dalle idee di cui sono capaci gli artisti. Nell’arte ci sono più idee che nella musica.
Se lo dici tu…
Vedi, il mondo della musica ragiona molto per estetiche, per cliché. È più un linguaggio che un modo di produrre invenzioni. Si limita ad adottare delle formule.
Cosa ti piace di entrambe?
Il fatto che l’arte, in genere, prima di dividersi in musica e arti visive, parte da una matrice comune.
Fammi un esempio.
Andy Warhol. Ha trasformato l’arte facendo in fondo un copia e incolla di fotografie. La stessa cosa che pochi anni dopo hanno fatto i deejay inventando l’hip hop, all’inizio manualmente poi con il campionatore, che è una macchina fotografica del suono.
Non è un caso, vero?
No, nello stesso momento storico si sono verificate metodologie artistiche simili perché provenienti da un’idea comune. Vorrei che negli spettatori passasse questa idea.
Quale artista finora ti ha dato questo brivido?
Sono in molti, ma Marco Cadioli è stata una rivelazione per me. Lui fa viaggi su Google Earth e mi piace come forza uno strumento così banale e così pazzesco, facendolo con i gesti di una personalità artistica. Anche Olimpia Zagnoli mi è piaciuta: vederla disegnare in sintonia con la musica è come sentire uno che parla alla radio.
Crossmedialità non è quindi solo elettronica e multimedia. Anche una pratica antica come il disegno può entrare a farne parte…
Certo, perché è la diretta l’elemento che unisce i due mondi. La radio si sviluppa nel tempo, il web nello spazio virtuale dei contenuti residenti. Chiedo all’artista di sviluppare un’opera nel tempo, dandole un senso soltanto nel suo divenire, in diretta. La novità è questa: aver obbligato l’arte visiva in una forma musicale e la musica in una forma statica, come un’atmosfera.
Perché lo fai sul web?
Il web è un escamotage. La crossmedialità in radio potrebbe essere fatta in mille modi diversi, ma noi la usiamo per contrabbandare dei soggetti che non hanno cittadinanza in radio e televisione, le quali temono questi contenuti perché è difficile raccontarli. O forse perché la società si è un po’ involuta.
Gli ascoltatori capiscono?
Capiscono il valore dell’arte. Noi siamo dei contrabbandieri d’arte.
In futuro, il web potrebbe aprire altre frontiere su questo campo?
Spero di sì, mi sento eccitato da quando il web è diventato così efficacemente dinamico. Mi accade nei momenti delle rivoluzioni. Come quando arrivò il punk, dirompente e distruttivo.
Dette a tutti la sensazione di poter essere musicisti…
Sì, anche se non sapevano suonare. Sembra brutto detto così, ma ha prodotto cose che durano ancora oggi. Lo stesso è successo agli inizi degli Anni Novanta con le posse e il rap italiano. Io stesso sono andato a Sanremo portando un pezzo rap. Oggi sento un fermento ancora più intenso nel web. Improvvisamente, i piccoli recinti di prima crollano e il nuovo territorio appare, senza regole. Il che è positivo e negativo insieme.
Il positivo?
Se hai fantasia, hai spazi di manovra. La zona è difficile, appena una cosa si sedimenta ne viene inventata un’altra che la scalza e la migliora. È un continuo progresso.
Negli Anni Ottanta il mezzo era il televisore e la crossmedialtà era il videoclip. Le immagini erano la colonna visiva della musica. Che sviluppi intravedi con il web 2.0 per l’unione di immagini e musica?
La gente è abituata a cercare la musica su Youtube, dove è associata a immagini. Si è creata così un’abitudine a un’estetica molto low profile, che va dalla copertina dell’album fotografata alle immagini banali prese dal web. Ma vi sono anche vere invenzioni. Come quelli che filmano il piatto su cui gira il vinile: per me è arte pura.
Siamo di fronte a un nuovo punk?
Sì, certo, con conseguente distruzione delle categorie e delle retoriche precedenti. C’è una democratizzazione delle possibilità e una proliferazione di stupidaggini. Ma quelli che rimangono sono davvero nuovi. Certo, sarà necessario saper scremare.
Poi è arrivato il v-jaying che ha tradotto la musica in colonne visive. Come ti sembra?
È un’arte molto nobile che inventa algoritmi a forma d’onda musicale per produrre immagini che sono la diretta conseguenza di ciò che si sta ascoltando. È perfetta per mettere una temperatura attorno a te, ma è un linguaggio che spesso distrae dalla musica, la quale è sovente musica d’ambiente, anche se non nel senso con cui la intendevano Erik Satie o Brian Eno.
Eno, come David Byrne, è poi divenuto un affermato artista visivo…
Eno è un genio assoluto, ma forse Alva Noto lo è ancora di più. Lui scolpisce la superficie dell’acqua con onde sonore unendo la musica, in quanto suono, con l’immagine intesa come materia fisica. Alla Biennale di Venezia presentò un cannone sonico che modellava l’acqua in una grande ampolla.
È la Sound Art, straordinaria. Una delle più belle mostre la fece la Hayward Gallery di Londra nel 2000, Sonic Boom. Era curata da David Toop, che l’anno prima usciva con Oceano di suono per Costa&Nolan. Vabbé, come sta andando Raitunes?
Bene, sono contento. La radio è un mezzo snello che consente di fare esperimenti. Siamo gli unici, credo, a proporre l’arte in questo modo. Il che potrebbe anche voler dire che siamo dei pazzi.
Raitunes ha un doppio accesso. C’è anche chi arriva alla radio via web?
Sì, perché in pochi ascoltano la radio rispetto a quanti vanno sul web. Per me è importante portare la radio nei nuovi luoghi, più che portare il web in radio.
Una bella sfida.
La radio ha un’offerta speciale: seleziona la musica in questa polverizzazione delle idee.
Come evolverà tutto ciò?
Ora proponiamo una selezione che è un formato unico, vecchia maniera. Uno spettacolo, una selezione. In futuro non ci sarà uno spettacolo unico, ma tante prospettive di una stessa idea: una per utente. È solo un’intuizione, se vuoi, ma ci credo.
Sei un grande appassionato di Banksy: come ci sei arrivato?
Me ne ha parlato molti anni fa Gianluca Marziani, perché all’epoca scrivevamo un articolo a quattro mani per la rivista GQ dove io proponevo un musicista abbinato a un artista scelto da lui.
Da qui nasce l’idea di Raitunes?
Molto prima! Nel 1998 su Linus scrivevo articoli in cui analizzavo artisti e musicisti con lo stesso metodo. La cosa era piaciuta alla casa editrice Baldini Castoldi, che mi aveva chiesto di farne un libro. Non l’ho mai scritto, mi è mancato il tempo di diventare un esperto d’arte.
Tornando a Banksy…
Mi aveva stupito. L’arte che si manifesta per strada ha sempre a che fare con la musica. Il fatto che usi lo stencil lo rende vicino alla prassi creativa di molti musicisti; alla fine è un campionamento anche quello, nel senso che usi una forma replicabile all’infinito. Ma in Banksy c’è più impegno sociale. In musica c’era a fine Anni Settanta e Anni Ottanta. Adesso ha rinunciato a quel ruolo lì, mentre la denuncia sociale dà valore al lavoro di Banksy.
E allora, dove sta andando la musica?
Probabilmente verso una forma liquida, nel senso che è più emotiva e l’originale ha un valore di spunto. La produzione e la distribuzione di remix è talmente facile che l’originale non è più fondamentale.
E ciò è un bene?
È una trasformazione che non ti dà la capacità di definire le cose. Appena si afferma un genere, è già nata una sua variazione che sposta il tutto. Non si può storicizzare quel che sta accadendo. Tutto avviene molto in fretta, inutilmente in fretta. Le idee nuove sono poche e moltissima arte ricicla idee vecchie. Vedo poco artigianato e troppa industria.
E il lato buono qual è?
La facilità di comunicazione favorisce lo sviluppo di scene musicali trasversali alla geografia e sintonizzate fra loro. Sono scene dotate d’inventiva.
Un esempio?
Il dubstep. È ormai un fenomeno commerciale ma ha prodotto alternative molto interessanti, che non hanno soltanto connotazioni inglesi. Il panorama è liquido e gassificato rispetto agli Anni Novanta, quando le cose erano solide.
Cosa resterà di questo panorama?
È un problema, perché non si scrivono più melodie che restano. Mi sembra che nessuno voglia più fare musica che si fermi. Le dinamiche della musica sono pericolosamente simili a quelle della nostra vita in generale. La domanda è allora: se non costruisci perché qualcosa rimanga, perché costruire?
I tuoi progetti per il futuro?
Fino al 3 agosto siamo in radio e a giugno faremo quattro puntate in televisione, portando su Rai 5 i contenuti riadattati di Raitunes e alcune cose prodotte ad hoc.
Una nuova sfida.
Sì, porterò in televisione un tipo di musica che non ci è mai andata perché non ha video. Sarà come contrabbandare musica in televisione.
Che tipo di opere cerchi?
Non tutto è traducibile sotto l’occhio della nostra camera zenitale. Non possiamo riprendere opere troppo grandi o tridimensionali. Ma va bene, perché così la radio rimane radio, non descrive tutto come fa la televisione. Suggerisce, il resto viene completato dall’immaginazione di chi ascolta o di chi guarda.
E ora la domanda più attesa: come scegli gli artisti che presenti?
Se ci sono artisti con caratteristiche salienti, cerco di trovare la musica che crei la suggestione. Con Daniela De Paulis abbiamo mandato in onda le foto che facevano il giro della Luna e tornavano con i segni della trasmissione. Altre volte creo un clima musicale sintonizzato sull’artista, come per Banksy: era evidente che servisse una musica che avesse una street credibility e che raccontasse qualcosa di lui. Ma non proponiamo un’analisi dell’arte.
Somiglia più a un viaggio random…
Sì, un viaggio crossmediale che è anche un “edutainment light”. Dà spessore a cose che vanno trattate con rispetto come l’arte, la musica e soprattutto gli spettatori.
Un rispetto che manca sempre di più in giro…
Quando hai un palcoscenico tanto importante devi avvertire una responsabilità civile. Puoi inventarti qualsiasi cosa, ma devi essere onesto con le persone.
Raitunes si candida a diventare una trasmissione di culto. Cosa ti senti di dire?
Aiutateci a farla meglio, proponeteci degli artisti interessanti, abbiamo le nostre fonti che ci aggiornano sulla musica cool e ci servono quelle del mondo dell’arte. Non si può conoscere tutto. Se fossimo acuti nell’arte come lo siamo sulla musica, sarebbe fighissimo. Immagina, un “museo” in divenire fatto di opere che hanno la loro ragione d’essere nel momento di sviluppo. E poi gli artisti s’inventano cose pazzesche, sono molto più creativi dei musicisti.
Nicola Davide Angerame
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