Arriva Documenta, sotto coi libri
È sempre stata, notoriamente, la rassegna artistica più intellettuale fra le decine in circolazione. Parliamo naturalmente di, o della, Documenta, che si tiene ogni cinque anni in Germania, a Kassel. La prossima edizione, la 13esima, inaugura questa settimana ed è diretta da Carolyn Christov-Bakargiev. La quale ha dato un’accelerazione netta alla produzione editoriale, già corposa nelle scorse edizioni.
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Nei bookshop di Kassel ci saranno innanzitutto tre cataloghi, editi comme d’habitude da Hatje Cantz. Si comincia con The Book of Books (pagg. 792, € 58), che raccoglierà con il layout originale oppure in una nuova veste grafica la serie delle 100 Notes-100 Ideas, di cui parleremo più avanti. Il secondo volume, The Logbook (pagg. 320, € 28), ha il compito di ricostruire il cammino che ha portato Carolyn Christov-Bakargiev a orchestrare la mostra finale, a partire dal 2010 fino alle settimane inaugurali. Un libro che mette insieme testi e fotografie (pure quelle scattate con il cellulare dalla stessa curatrice) come “sedimenti archeologici” e che documenterà anche concerti e performance svolti durante le prime settimane. Si giunge infine a The Guidebook (pagg. 424, € 18), interamente dedicato agli artisti: ognuno introdotto dal testo di uno degli agent – gli assistenti-curatori della Christov-Bakargiev – e da illustrazioni realizzate ad hoc. E finalmente, almeno in questa pubblicazione, non mancherà l’aspetto pratico, con la mappa della mostra e di tutti i progetti collaterali, che si spingeranno fino in Afghanistan.
Ci sono poi i libri d’artista prodotti da dOCUMENTA (13) – questa la “corretta” ortografia scelta dalla direttrice -, due in particolare. Il primo, The Campo del Cielo Meteorites – Vol. 1: El Taco (pagg. 184, € 39,80) di Guillermo Faivovich e Nicolás Goldberg, è il catalogo della mostra che si è tenuta al Portikus di Francoforte nel 2010 e che costituisce la prima tappa del progetto che avrà il suo secondo e definitivo step proprio a Kassel. Il secondo, Seeing Studies (pagg. 304, € 39,80), è una pubblicazione del 2011 in inglese e farsi e prende spunto da un testo scolastico iraniano per affrontare il tema del guardare e della traduzione/tradizione culturale.
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Carolyn Christov-Bakargiev - photo Eduardo Knapp
Ci sono infine i cento Notebooks (pagg. 24/48, € 4/6/8 a seconda dei formati, € 2,99 in formato e-book. È possibile ordinare l’intera serie cartacea a circa 600 euro) pubblicati fra marzo 2011 e l’estate del 2012. L’onere e l’onore di aprire la discussione è spettato a Michael Taussig, docente di Antropologia alla Columbia University. Perché si tratta in buona parte di non addetti ai lavori, e questo è uno dei tratti distintivi della Documenta, ben più e ben prima che il coinvolgimento di “intellettuali in genere” divenisse una pratica comune in ambito biennalistico. Lo firma invece un artista-docente il secondo volume, Ian Wallace: si tratta in realtà di uno speech che risale al 1987, dedicato proprio a The First documenta 1955. Solo sulla copertina del terzo libello troviamo la firma di Carolyn Christov-Bakargiev, e si tratta di una Letter to a Friend datata 25 ottobre 2010. Ed è una dichiarazione d’amore, un poco ruffiana dirà qualcuno, ma così facendo dimostrerà di non conoscere la passione intellettuale della curatrice: “dOCUMENTA (13) is for me more than, and not exactly, an exhibition – it is a state of mind”. Una seconda lettera arriva soltanto al numero 40 di 100, ed è focalizzata On the Destruction of Art – or Conflict and Art, or Trauma and the Art of Healing.
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Gloria Kino – Kassel – photo Nils Klinger - dOCUMENTA (13)
Scorrendo i volumi, s’incontrano due serie di note – realmente note, non ritrascritte ma direttamente “fotocopiate” in pagina – di Lukács, e pure quelle di Cornelius Castoriadis, l’attivismo biopiratesco di Vandana Shiva e quello “ironico” di Franco Berardi Bifo, il racconto dell’esperienza di The One Hotel di Alighiero Boetti nelle parole di Annemarie Sauzeau, le evoluzioni psico-matematiche di Donna Haraway, la riscoperta da parte di Obrist (come già in Bourriaud) del grande post-colonialista ante litteram Édouard Glissant. E non poteva mancare Boris Groys, con la sua riflessione piuttosto sorprendente intitolata Google: Words beyond Grammar (e chissà che faccia farebbe Heidegger a leggerla, visto che è pure direttamente chiamato in causa).
Se Carolyn Christov-Bakargiev e i suoi agent volevano stuzzicare i neuroni dei futuri visitatori della mostra, ci sono riusciti. Attenzione però a non esagerare, ché se giungesse l’irritazione, poi si arriverebbe a Kassel con una fastidiosa emicrania.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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