Cultura e Piigs
Il recente aumento di attenzione per l’economia della cultura è collegato alla transizione dal governo Berlusconi al governo Monti. Non si può però dire che il cambio di passo sia dovuto a segnali provenienti dal nuovo governo, che considera la cultura come centro di costo da tagliare.
Anche quando l’interesse del governo Monti si sposta sul tema strutturale della crescita, la cultura non è in cima all’agenda delle priorità. L’attenzione per la cultura è rivolta soprattutto verso i temi tradizionali della tutela e della conservazione del patrimonio storico-artistico, oggi sottoposto a minacce crescenti di degrado.
La nuova situazione è frutto di una singolare coincidenza? Non credo. Da una ricerca condotta in IULM, risulta una forte relazione tra il livello di partecipazione culturale attiva all’interno dei Paesi della EU15 e il livello di stabilità finanziaria. I Paesi sotto la media dell’Europa a 27 per quanto riguarda la partecipazione culturale attiva sono proprio i “PIIGS”: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna.
Se questa relazione ha radici profonde, allora l’interesse per lo sviluppo a base culturale in Italia è un riflesso del fatto che il risveglio della pubblica opinione nell’esercitare pressione sulla governance delle scelte macroeconomiche si associa a un ritorno di attenzione verso quelle attività che favoriscono una reattività dell’opinione pubblica. Una maggiore partecipazione stimola la propensione ad accedere alle informazioni e a farne un uso critico, e ciò si riflette sulla capacità di partecipare in modo attivo alle decisioni strategiche in campo economico e sociale.
Se questa fase si protrarrà per un tempo sufficiente, assisteremo a un risveglio dell’interesse verso gli aspetti più proattivi dell’esperienza culturale, e quindi a un passaggio da una concezione della cultura in termini di spettacolarizzazione passiva a una fondata sulla produzione culturale e sul coinvolgimento di quelle comunità che producono in modo cooperativo contenuti con riferimento a una tematica di comune interesse.
Per ciò, prendere sul serio il tema della partecipazione culturale attiva può diventare un elemento non secondario nel favorire la transizione verso una governance sociale più stabile e affidabile delle scelte economico-finanziarie. Per non parlare del ruolo che questa dimensione può svolgere nell’elaborazione di un nuovo modello di crescita, per superare lo stallo e la performance fallimentare di quello attuale.
Se il governo si liberasse di vecchi pregiudizi, c’è motivo di credere che i benefici per tutti potrebbero essere sostanziali e sorprendenti.
Pier Luigi Sacco
docente di economia della cultura – università iulm di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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