The New Stone Age. Parte II
Tra paure collettive di crash bancari, default nazionali e annunci costanti di barbarie imminente, molti gli elementi dell’immaginario e della vita pratica attorno a noi ci fanno presagire un futuro dai tratti post-apocalittici e neo-primitivi. Non è detto che questo sia proprio una completa maledizione.
L’idea che, insieme alla scarsità materiale e alla reintroduzione di comunità-tribù (materiali e immateriali), riunite attorno a interessi ed esigenze concrete (il cibo e i valori ricostruiti, per capirci); l’idea di vivere in un mondo al tempo stesso più semplice – alcuni direbbero e diranno: più brutale – e più ricco, l’idea di coltivare la complessità proprio attraverso la sottrazione radicale del rumore bianco che costantemente ci circonda, può presentare degli aspetti allettanti.
Certamente, occorre addestrarsi: una realtà del genere ha una durezza che contrasta molto con il tipo di abitudini e di facilitazioni che hanno caratterizzato la nostra esistenza nel corso degli ultimi decenni. Questa durezza si sta manifestando proprio in questi mesi e in questi giorni – ed è un bene, in definitiva. Soprattutto per un motivo: questa nuova realtà ha un gradiente di ‘reale’, se si perdona il gioco di parole, incomparabilmente più alto rispetto a quello a cui siamo abituati. Il mondo della speculazione (finanziaria, artistica, politica), tipico peraltro di società in declino, tende a ricercare attivamente la riproduzione, la smaterializzazione definitiva della realtà attraverso la sua trasfigurazione: il dominio della speculazione è il dominio dell’immagine, da almeno quarant’anni.
Lo spiega molto bene Walter Siti in quell’impressionante ritratto di un’epoca che è Resistere non serve a niente: “Come i pendolari stipati sui treni locali sembrano ormai incomparabili per natura ai manager che interrogano i loro iPad sul Frecciarossa, così le prostitute di strada e i loro clienti hanno l’aria di appartenere a una diversa umanità rispetto al variegato e sfumatissimo mondo delle (e degli) escort: a mondi separati, parole separate. […] tra denaro e immagine vige una concreta solidarietà: il primo ha bisogno della seconda per impressionare, la seconda ha bisogno del primo per espandersi”.
Adattarsi alla nuova età richiede dunque una riconfigurazione dei propri paradigmi. E mutare prospettiva implica esattamente tutto ciò che significa: trasformare le premesse su cui si basa la nostra vita individuale e collettiva. Negli ultimi quarant’anni (risultato storico, ovviamente, degli ultimi sessanta, e cento, trecento) il modello fondamentale di interazione è stato quello della predazione. Della scissione/dissociazione – artificiale – tra soggetto e oggetto, tra dominante e dominato (master & servant). L’interruzione di ogni scambio (di ogni “modo duale”, e reversibile, come direbbe Jean Baudrillard). Questo schema sta collassando, perché è letteralmente e fondamentalmente insostenibile.
Il bivio di questi anni, e solo di questi, apre così a due opzioni fondamentali (e non è detto poi che queste due opzioni non possano realizzarsi parallelamente, in due distinti spazi simbolici): l’irrigidimento violento di questa interazione sbilanciata e distorta, che si propaga su più livelli di astrazione e di realtà, portando così la dissociazione ad un punto di non ritorno (“Al limite, l’oggettività totale del tempo, come l’accumulazione totale, è l’impossibilità totale di scambiare simbolicamente – è la morte. D’onde l’impasse assoluta dell’economia politica: essa vuole abolire la morte mediante l’accumulazione – ma il tempo stesso dell’accumulazione è quello della morte”: Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, 1976); e/o la (ri)comparsa di un altro tipo di interazione. Che preveda invece la re-istituzione e la reintroduzione salutare degli scambi, della dimensione rituale e della circolazione simbolica. L’irruzione in forme rinnovate e in gran parte inedite dell’immaginario, del mito e del sacro, nel reale.
La nuova età della pietra.
Christian Caliandro
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