Trent’anni a Celle. La Collezione Gori al giro di boa
Un'avventura nata con tutta la forza e le incertezze della novità. Un collezionista pronto a dedicare la propria vita al progetto. Dopo trent’anni di apertura al pubblico, la Fattoria di Celle rappresenta un modello unico di arte ambientale: si festeggia con importanti acquisizioni e altre sorprese. Appuntamento alla Collezione Gori.
“L’idea dell’arte ambientale è nata nel 1961, ma sono serviti vari anni per attuarla. Oltre le difficoltà a livello economico e familiare, questa intuizione da una parte mi coinvolgeva in modo assoluto e dall’altra mi creava inquietudini profonde”. Con passione e pazienza, Giuliano Gori racconta per l’ennesima volta l’avventura della sua collezione così “particolare”: “Non avevamo modelli e adesso lo siamo diventati noi. Al di là di ogni presunzione, non contesto i meccanismi del mercato artistico contemporaneo, che in effetti sono più pratici. Ritengo però necessario che qualcuno dimostri la possibilità di un’alternativa alla creazione delle opere in studio: non soltanto arte ambientata, cioè collocabile ovunque, ma anche ambientale, nata nel luogo a cui sarà destinata e frutto di una lunga relazione con il committente. D’altronde, è avvenuto così per tanti secoli fino all’epoca moderna”.
La Fattoria di Celle festeggia i trent’anni di apertura al pubblico con alcune nuove acquisizioni, opere che, seppur con modalità diverse, sono attuazione di progetti previsti da tempo. Se l’intervento di Robert Morris è un atto dovuto per il forte legame con la storia della collezione – da sottolineare che l’artista americano, presentando Venus, segna un’imprevista deviazione verso la scultura primitivista, in riferimento specifico alle Dee Madre – o una conferma i casi di Luigi Mainolfi con Per quelli che volano e di Loris Cecchini con The Hand, the Creatures, the Singing Garden, sono invece scaturite seguendo dinamiche impreviste la collaborazione con Roberto Casati – che presenta in modo temporaneo un prototipo della sua KasaUovo, unità abitativa “primordiale” costruita secondo i principi dell’ecosostenibilità – e la mostra dell’architetto designer Alessandro Mendini il quale, tra le varie opere, con due speciali poltrone Proust e l’accostamento del proprio elettrocardiogramma a quello di Gori, testimonia un’amicizia folgorante.
Questo trentennale, che segue Arcadia in Celle, una selezione di circa cento opere esposte presso la Fondazione Maeght a Saint-Paul-de-Vence, potrebbe rappresentare un’occasione di riflessione a posteriori: “Prima di tutto vorrei sottolineare che nel 1982 non decidemmo di aprire al pubblico per vanità. Semmai per la convinzione che l’arte contemporanea non può essere destinata a una fruizione singola; la sua complessità necessita di sguardi diversi e di un’analisi condivisa. Quindi il nostro invito ha come obiettivo la discussione comune. Chiarito questo, una valutazione preferisco non farla: io mi sento un uomo del presente. Il passato è prezioso per capire chi siamo, ma come un compasso che ruota intorno a un punto fisso io resto ancorato al momento che vivo”.
Passando tra opere che all’inizio o alla fine hanno segnato le carriere di artisti storici – basti pensare a Gerusalemme città della pace di Dani Karavan oppure alle Pencil Lines in Four Directions and All of Their Combinations on Black Squares di Sol LeWitt – Gori ammette di meravigliarsi per primo dell’esito dell’impresa: “Nomi così importanti, impegnati per mesi solo qui. A pensarci sembra un miracolo”. E per il futuro? “Stesso discorso del passato, non voglio sbilanciarmi. Considerando tutte le attività che abbiamo realizzato in questi anni, è comunque certo che non mancheranno i cambiamenti e le novità”.
Matteo Innocenti
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