A come Avignone, B come Boltanski, C come Castellucci
È una carsica riflessione sul linguaggio quella proposta dal Festival di Avignone, che giunge quest’anno alla 66esima edizione. Unico ospite italiano: Romeo Castellucci, che debutta con “The Four Seasons Restaurant”. Edizione ad alto tasso artistico che inizia sabato 7 luglio.
Avignone 2012. E salta alla mente il famoso dittico fotografico di Christian Boltanski del 1969, composto da due fotografie che mostrano: la prima, l’artista stesso, bambino, intento a giocare con dei cubetti di legno; la seconda, i medesimi cubetti ritrovati venticinque anni dopo. Questo lavoro s’interroga con forza sulla (im)possibilità del mezzo fotografico di dire il tempo che passa, quel tempo che sta in mezzo, invisibile, tra le due metà del dittico.
L’opera di Boltanski viene in mente, per l’appunto, leggendo il ricchissimo programma del Festival che, nell’edizione numero 66, invade Avignone dal 7 al 28 luglio. Il filo conduttore delle tante proposte di quest’anno sembra essere la riflessione sulla possibilità/impossibilità di costruire senso: questo si legge fra le righe della presentazione del programma realizzata dai due direttori del festival, Hortense Archambault e Vincent Baudriller, e questo si riconosce nelle scelte che i direttori, insieme all’artista associato di quest’anno, Simon McBurney, hanno fatto.
Ad esempio, in The coming storm, ultimo lavoro di Forced Entertainment, dove sei performer in scena, elencando gli ingredienti di una buona narrazione (“un inizio chiaro, qualche avvenimento dinamico, qualcuno che stia cercando il padre, o l’amore… e poi incidenti, cose che vanno fuori controllo, catastrofi”), e mescolando con il solito humour nero storie diverse, parlano del tentativo di “dire ciò che va detto, finalmente, con poche, secche, ben dette parole”.
Le poche, secche, ben dette parole presenti nel lavoro di Jérôme Bel, realizzato con un gruppo di attori professionisti disabili del Theater Hora di Zurigo: solitamente girano l’Europa con spettacoli ispirati a Shakespeare, Conrad e Fellini, qui sono impegnati in un lavoro “scultoreo” (niente personaggi, palco nudo ecc.).
Infine, ultima segnalazione di questo troppo breve excursus, il nuovo lavoro dell’unico artista italiano invitato: Romeo Castellucci della Socíetas Raffaello Sanzio con The Four Seasons Restaurant. Castellucci ha una lunga e solida collaborazione con il Festival di Avignone (si ricordi, fra i tanti legami, il ruolo di “artista associato” nel 2008 e il debutto del secondo episodio, dedicato ad Avignone, della Tragedia Endogonidia, esattamente dieci anni fa). Ed è proprio un’azione letteralmente in levare la suggestione di partenza di The Four Seasons Restaurant, che nel titolo rimanda alla decisione del pittore Mark Rothko di contravvenire all’impegno preso con il committente e quindi di non esporre le sue opere alle pareti del lussuoso ristorante di New York frequentato da una clientela tanto facoltosa quanto distratta.
In questo spettacolo, terza parte di un trittico ideale, i cui primi due tasselli sono Sul concetto di volto nel figlio di Dio e Il Velo Nero del pastore, Castellucci si interroga sulla relazione tra la rappresentazione e irrappresentabile e indaga quel punto in cui “la materia si curva sotto il proprio peso e nega se stessa”, e lo fa senza alcun riferimento esplicito e tanto meno naturalistico all’episodio citato.
Si chiude il cerchio: esattamente tra rappresentazione e negazione dell’apparenza sta il lavoro di Boltanski ricordato all’inizio, un’opera il cui oggetto sta in un altrove rispetto alla materialità della traccia sensibile.
Si segnalano inoltre, dal programma del festival più importante d’Europa, le proposte performative di Thomas Ostermeier, William Kentridge, Christoph Marthaler, Josef Nadj e, nella sezione Expositions, le opere di Sophie Calle, Fanny Bouyagui, Lundahl & Seitl, oltre a quelle dei già citati William Kentridge e Forced Entertainment.
Michele Pascarella
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