Una ventina d’anni fa l’avvento dei mega centri commerciali fu da molti vissuto come un evento apocalittico: si scommetteva che le nuove strutture avrebbero spazzato via la rete di piccole botteghe che punteggiava le città italiane. Così avvenne, sebbene non in forme tanto catastrofiche, e molti negozi si arresero di fronte ai mastodonti e alla loro cintura di esercizi commerciali in franchising.
Presto, tuttavia, questa tipologia di spazi parve non soddisfare in toto le esigenze del popolo dei consumatori, e ad essa se ne affiancò un’altra, le cui caratteristiche principali risiedono nella vendita di prodotti fortemente scontati e nell’adozione di un’architettura meno respingente, ispirata alla tradizione costruttiva della zona in cui la struttura va a insediarsi. Nascevano così gli outlet, la cui comparsa rappresentò una prima ricomposizione, per così dire in vitro, della frattura tra spazi commerciali e centri storici: questi ultimi infatti, entrati nell’epoca della loro “riproducibilità tecnica”, servirono da modello per le cittadelle dello shopping, che li hanno utilizzati con una libertà da far impallidire il più spregiudicato eclettismo ottocentesco. Il tutto sotto il segno di quell’osmosi tra realtà e finzione caratteristica dei nostri tempi: finestre dietro le quali non si cela alcuna abitazione, merli che non hanno protetto mai nessun armigero. E a sera, quando chiudono i negozi e i commessi fanno ritorno alle loro case vere, un silenzio irreale, a dire il vero non troppo diverso da quello che riempie la notte di tanti centri antichi.
La formula ha funzionato: le strade e le piazze di queste città ideali del commercio sono sempre affollate di visitatori. I centri storici autentici, tuttavia, non sono rimasti a guardare. Ansiosi di replicare il successo dei nuovi arrivati, da modelli si sono fatti imitatori, e hanno iniziato a prendere a modello gli outlet. Dietro molte finestre si celano seconde case che restano vuote per lunghi periodi; i vecchi negozi a conduzione familiare sono stati spesso sostituiti da catene (in misura da noi ancora molto inferiore a quella di altri Paesi europei); soprattutto, un’infinita serie di “restauri” ha trasformato edifici venerandi in luccicanti imitazioni delle quinte che definiscono gli spazi di un outlet.
In radicale antitesi a qualunque discorso sulla patina del tempo di ruskiniana memoria e all’insegna del “tutto nuovo e tutto perfetto”, si è intervenuto in maniera pesantissima, ricorrendo a materiali estranei alle tradizioni locali, banalizzando le facciate con piatte campiture di colori shocking, stravolgendo le planimetrie interne.Nei grandi centri urbani – tra le ultime vittime romane, Palazzo Scapucci con la Torre della Scimmia, che fino a ieri pareva uscito da un acquerello di Ettore Roesler Franz– come nelle piccole “città d’arte”, e soprattutto nei tanti centri storici minori nei quali, lontano dalle luci della ribalta, si è potuto operare con disinvoltura ancor maggiore. Gli edifici, con le loro facciate immacolate, si sono risvegliati senza più passato, come smemorati: i centri storici sono stati trasformati in falsi storici.
Il camuffamento (rafforzato dall’adozione di pratiche che pure sembrano derivare dal fatato mondo degli outlet, ora lodevoli ma non risolutive, come le chiusure al traffico, ora più discutibili, come la diffusione per mezzo di altoparlanti di musichette pop) risponde innanzitutto a esigenze commerciali, ma soddisfa alla perfezione anche altri bisogni tipici della nostra epoca. Cancellando ogni crepa e ogni imperfezione, i restauri eliminano ogni riferimento inopportuno al decadimento e allo scorrere del tempo; e le strade ordinate e le facciate linde vogliono essere la prova più eclatante che davvero “va tutto per il meglio”. E per chi è così testardo da non crederlo, le antiche vie, da cui sono stati scacciati i fantasmi e le contraddizioni, possono diventare il terreno privilegiato dove esercitare la nostalgia per “bei tempi andati” che forse non sono mai esistiti.
La frattura che si era aperta un paio di decenni fa tra commercio e storia può dirsi dunque risanata, a vantaggio del primo. Il prossimo passo sarà la completa identificazione di outlet e centri storici: Idea: un outlet all’aperto in centro titolava la cronaca di Pontremoli de Il Tirreno di sabato 14 gennaio 2012. La museificazione delle nostre città giustamente ci spaventava; ma non avevamo ancora visto niente.
Fabrizio Federici
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