Cervelli in fuga (temporanea). Costanza Paissan e la residenza francese
Ha visto un annuncio su e-flux, ha preparato un progetto, inviato l’application. E ora eccola nei pressi di Parigi, a Noisy-le-Sec, a fare una residenza per curatori a La Galerie. E una mostra sulla monumentalità. Con lei abbiamo parlato soprattutto di affinità e divergenze fra Italia e Francia in epoca di crisi nera.
Com’è stato il processo che ti ha portato a fare questa residenza per curatori in Francia?
Un processo molto semplice e limpido. Ho ricevuto un e-flux con l’annuncio del concorso e ho iniziato a impostare un progetto espositivo che rispondesse alle richieste molto precise del centro d’arte: realizzabilità rispetto agli spazi espositivi e al budget messo a disposizione (chiaramente indicato nell’annuncio), apertura alla scena artistica francese, continuità con la programmazione precedente della Galerie. Avendo già sentito parlare di questa istituzione e del suo programma espositivo di alta qualità, diretto negli ultimi anni da Marianne Lanavère (oggi direttrice del centro d’arte dell’Ile de Vassivière), non ho esitato un attimo e ho subito iniziato a sviluppare le mie ricerche in questa direzione.
Com’è stato il processo di selezione?
A gennaio sono stata inserita nella rosa dei quattro finalisti e, dopo un colloquio con i rappresentanti dei vari partner istituzionali della Galerie, sono stata scelta per la residenza. Ho quindi compiuto una serie di viaggi di ricerca in Francia e a Parigi (finanziati dalla Galerie stessa) e sono arrivata a Noisy-le-Sec ad aprile per lavorare concretamente alla mostra che ha inaugurato a fine maggio. La residenza ha una durata totale di tre mesi: dopo l’apertura della mostra ho quindi avuto la possibilità di continuare a lavorare per promuovere il mio progetto, proseguire con gli studio visit e gli incontri, partecipare ai laboratori didattici e agli eventi speciali organizzati per la mostra.
Lo spazio dove stai lavorando che tipologie ha, sia istituzionali che “fisiche” e operative?
È un centro d’arte contemporanea pubblico, finanziato dalla città di Noisy-le-Sec (sobborgo a est di Parigi), dalla direzione regionale per gli affari culturali (emanazione locale del Ministero della Cultura), dal Dipartimento della Seine-Saint-Denis e dalla regione Île-de-France. La Galerie fa parte della d.c.a., l’associazione per lo sviluppo dei centri d’arte contemporanea francesi e della rete Tram, che federa le istituzioni nella regione parigina.
Come funziona questa rete?
È una realtà molto importante e matura, che permette anche ai luoghi più periferici di coordinare i programmi, avere una grande visibilità a livello di comunicazione e un interesse costante da parte del pubblico, specializzato e non.
Torniamo alle modalità operative.
La Galerie è gestita da una piccola équipe, in cui ognuno copre mansioni specifiche, dalla produzione alla comunicazione, dalle azioni rivolte al pubblico all’amministrazione. Nel mio caso, la residenza si è svolta in un momento di assenza di direzione, a causa della partenza di Marianna Lanavère per l’Île de Vassivière (per la scelta del nuovo direttore è stato attivato un concorso pubblico, la scelta è in corso). Nonostante questa situazione di passaggio, ho avuto la possibilità di approfittare in pieno dell’opportunità offerta da questo programma e soprattutto ho potuto contare sulla collaborazione e il supporto di tutte le persone che lavorano nel centro d’arte.
Veniamo alla struttura architettonica della Galerie.
È un edificio del XIX secolo, originariamente abitazione di una famiglia abbiente della città ferroviaria di Noisy-le-Sec. Donato alla città, è diventato sede di un ospedale militare, di una biblioteca e alla fine, nel 1999, un centro d’arte. Lo spazio espositivo conserva ancora la memoria di queste antiche destinazioni e risuona di un carattere domestico, familiare, che influisce sull’allestimento delle opere e dà un’identità molto specifica al luogo.
Hai lavorato molto a lungo e ad alto livello come curatrice in Italia. Quali sono le differenze tangibili che puoi marcare, ad esempio, tra Roma e Parigi? In meglio, ma non necessariamente…
Inizialmente sono stata colpita dal grado di professionalità e ambizione di un centro d’arte oggettivamente di piccole dimensioni e collocato in un contesto periferico. Non si rinuncia a fare programmi di qualità, anche radicali e complessi in zone decentrate, anzi si punta proprio sul valore della proposta per far arrivare a un pubblico ampio il senso di una ricerca di livello internazionale. Anche il coinvolgimento diretto non solo del municipio della città, ma di tutte le istituzioni politiche e amministrative, dalla regione al dipartimento, allo stesso Ministero della Cultura, mi è apparso come una sorta di miraggio, venendo da un Paese come l’Italia, che vede abbandonate dalla politica anche le istituzioni più importanti (per non parlare di quelle più piccole). Sicuramente la Francia ha un sistema più maturo, una consapevolezza più consolidata dell’importanza della cultura e dell’arte come motore per la crescita.
In Italia dunque non si salva nulla?
Per non apparire troppo esterofila, tengo comunque a dire che proprio le difficoltà organizzative e finanziarie che si affrontano nel nostro Paese permettono spesso alle istituzioni italiane di essere più agili, più fluide, meno rigide. Lo spirito d’iniziativa e l’intelligenza empirica hanno spesso permesso anche in Italia di promuovere progetti culturali interessanti.
Altre differenze?
Una a favore della situazione d’oltralpe riguarda il valore della mediazione e delle attività destinate al pubblico, assolutamente centrale qui in Francia, spesso considerata secondaria in Italia: il settore didattico ed educativo è uno dei pilastri dell’identità dei luoghi dedicati all’arte, soprattutto quando sorgono in aree periferiche come Noisy-le-Sec. Per la mia mostra abbiamo lavorato moltissimo su questo aspetto, per trovare i canali necessari a comunicare a diversi livelli temi (la storia, il ricordo, il monumento) non immediatamente “digeribili” e far comprendere opere tutte giocate sul limite dell’invisibilità.
Siamo in un passaggio di grande difficoltà per la cultura in Italia. Un museo a settimana “salta”. Un festival a settimana deve rinunziare alla sua edizione 2012. I quattrini appaiono essere definitivamente finiti e l’amministrazione centrale, il governo, non pare potersi permettere il lusso di provvedere. Tale contesto si ripete anche in altri Paesi un tempo floridi (si pensi ai Paesi Bassi): come vedi la situazione francese dal tuo osservatorio privilegiato di “residente” a Parigi da qualche mese a questa parte?
La crisi ovviamente si percepisce anche qui e investe anche il settore culturale: per fare un esempio, il dramma degli alloggi (molto cari e insufficienti, specie qui a Parigi) tocca ampie frange della società, compresi gli artisti. Tuttavia, questi possono comunque contare su una serie di azioni (residenze, premi, concorsi e sostegni alla produzione) che in Italia sono molto più carenti. Il senso dello Stato, molto presente in Francia, fa sì che ci sia una grande attenzione alla classe creativa, considerata come risorsa da trattenere e promuovere, e non come zavorra da cui liberarsi.
Parliamo infine della mostra che stai curando a La Galerie: alcuni giovani artisti che affrontano la tematica del “monumento”…
Il progetto espositivo nasce da un paradosso, quello dell’“invisiblità” dei monumenti: oggetti pensati per attrarre l’attenzione, calamitare lo sguardo e traghettare un messaggio dal passato al presente al futuro, i monumenti sono spesso contenitori vuoti, trasparenti, impermeabili allo sguardo e alla comprensione. Gli artisti che ho invitato a partecipare al progetto riflettono proprio su questo cortocircuito di senso e di forma e presentano opere in cui la memoria e la storia si intrecciano con l’oblio e l’invisibilità. È il caso per esempio del lavoro del francese Eric Baudelaire, Ante-Memorial, basato su documenti storici rimasti segreti e su un passato possibile ma mai realizzato; o dell’opera performativa e installativa dell’artista greca Iris Touliatou, The Fallen Reply, sottile riflessione sul teatro come spazio di costruzione di una memoria condivisa e problematica. Fayçal Baghriche, Tomaso De Luca, goldiechiari e Stefanos Tsivopoulos presentano altre prospettive di lettura sul tema del monumento, dichiarando plasticamente e concettualmente la natura elastica, flessibile e spesso contraddittoria di questo oggetto della visione e del pensiero: il monumento come punto di domanda, interrogativo aperto rivolto alla realtà e al tempo, più che come affermazione chiusa e sterile.
Massimiliano Tonelli
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