Cinesi, sindaci del mondo
Non occorre molta esperienza di politiche culturali per pervenire rapidamente a questa amara quanto semplice verità: con pochissime quanto lodevoli eccezioni, è estremamente difficile fare in modo che un sindaco o un pubblico amministratore di livello elevato presti attenzione per più di cinque minuti a questioni che riguardano la cultura.
Le conseguenze di ciò sono purtroppo evidenti: l’utilizzo irrazionale delle risorse in ambito culturale, che abbina sprechi incomprensibili a tagli e chiusure altrettanto incomprensibili, la soggezione intellettuale per modelli ampiamente superati e per vedette mediatiche decotte ma celebri, l’impazienza di ottenere risultati irrealistici e immediati che in altri campi nessuno si sognerebbe di chiedere o proporre. In altre parole, una delle ragioni che rendono tanto difficile fare efficacemente sviluppo con la cultura in Italia è la palese inadeguatezza dei decisori a cui sono affidate le scelte.
A tale inadeguatezza contribuisce peraltro spesso una buona dose di incompetenza nei confronti dei nuovi scenari della cultura digitale e delle comunità di pratica, che rappresentano per l’amministratore pubblico italiano medio una realtà talmente aliena da non essere nemmeno pensabile oppure, il che è ancora peggio, una realtà illusoriamente familiare che viene quindi affrontata in modo totalmente distorto e inefficace.
Queste considerazioni non possono non venire alla mente nel momento in cui presso la mia università, la IULM, stiamo per varare un programma master executive rivolto specificamente ai sindaci delle città cinesi medio-grandi e dedicato per intero ai temi della gestione del patrimonio culturale e della produzione creativa.
Questi pubblici amministratori, che nella loro esperienza non hanno quasi mai affrontato questioni di politica culturale e devono gestire città le cui dimensioni sono di solito parecchie volte maggiori di quelle di una città italiana grande (e figurarsi di una piccola), ritengono che sia per loro sensato impegnarsi per un weekend al mese in modo intensivo nell’analisi e nello studio delle politiche culturali, con corsi tenuti a rotazione in dieci diverse grandi città cinesi (e quindi con una missione di lavoro fuori sede), pagando una retta piuttosto significativa e impegnandosi a svolgere alla fine del corso due viaggi di studio in Europa e a elaborare un project work relativo allo sviluppo culturale della loro città. Il confronto sorge spontaneo.
A ciascuno le sue riflessioni.
Pier Luigi Sacco
docente di economia della cultura – università iulm di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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