Dall’Ansaldo a Macao. Parla Stefano Boeri
Milano, ex Ansaldo. Prende una prima, abbozzata forma il progetto di Stefano Boeri, con l’iniziativa delle Officine Creative. Nello stesso quadrante, però, sono arrivati anche i lavoratori dell’arte di Macao. Abbiamo chiesto all’assessore Stefano Boeri come intende affrontare la questione.
Per volontà del Comune di Milano, le officine dell’ex Ansaldo dal 14 al 16 giugno 2012 hanno aperto al pubblico, dando vita al progetto OCA – Officine Creative Ansaldo. In soli tre giorni, i 3.000 mq dello stabilimento di via Tortona hanno ospitato gruppi, associazioni di quartiere e cooperative culturali che hanno affiancato i laboratori della Scala, gli allievi del Piccolo Teatro e i musicisti delle scuole civiche. Tre le sezioni in cui sono divise le proposte in cartellone: OCA pensa, con momenti di workshop e incontri; OCA in scena, dedicato alle arti performative; OCA crea, che ha visto la realizzazione delle centinaia d’idee arrivate dalla società civile e dagli operatori di settore.
L’appuntamento di OCA è nato anche a seguito degli episodi di MACAO – il collettivo che, il mese scorso, protestando contro l’assenza di spazi a Milano aveva occupato prima la torre Galfa, poi Palazzo Citterio e infine, proprio durante i giorni di apertura dell’Ansaldo, anche l’ex Macello in via Molise. Dopo la sovrapposizione dei due interventi sul territorio, abbiamo incontrato l’assessore Boeri, per fare chiarezza.
Cosa sono stati e cosa hanno rappresentato i giorni dell’OCA e quali sono i bilanci?
Il bilancio è molto buono, se si tiene conto del fatto che OCA è stata per ora solo una sorta di flash forward: l’anticipazione di una situazione nuova per la scena di Milano, una sorta di piazza creativa che vorremmo partisse realmente da ottobre. Per tre giorni il progetto OCA ha messo a disposizione di circa 10mila visitatori uno spazio autogestito che ha visto lavorare, fianco a fianco, 248 soggetti creativi di Milano: non solo le eccellenze istituzionali, ma anche imprese appena nate. OCA può diventare un luogo unico a Milano, dove, secondo un principio di rispetto reciproco e autodeterminazione, le esperienze più avanzate della musica, del teatro, dell’arte, del design, della moda, del cinema, della letteratura, della poesia s’incontrano con le culture complesse delle comunità internazionali che abitano Milano, con le pratiche artigiane dei Laboratori del Teatro alla Scala, con la ricerca etnografica delle collezioni civiche. Tutto in un unico luogo, in un unico isolato di proprietà pubblica, all’interno di un quartiere che è un simbolo dell’innovazione sociale a Milano.
Dopo i tre episodi di Macao e l’apertura dell’ex Ansaldo, cosa significa, per Milano, rendere la cultura accessibile? E quanto, seppure in parte, la lezione di Macao ha modificato il modo di comunicare la gestione degli spazi milanesi dedicati alla cultura?
Fin dall’inizio ho sostenuto che Macao è un’esperienza nuova e positiva, che ha posto una domanda inedita alla politica milanese: quella di trasformare la cultura da semplice programmazione di eventi a condizione sociale diffusa; di concepire la cultura come un bene comune fluido, che si trasmette orizzontalmente e ha bisogno di spazi per auto-generarsi. La domanda posta alla politica, la domanda posta alla nostra Giunta è stata esplicita: accettate questa sfida e mettetevi in gioco. Lo abbiamo fatto. Abbiamo ascoltato e, senza pretendere di dare una risposta meccanica alla domanda di uno spazio per Macao (non è questo ciò che ci veniva chiesto), abbiamo provato a rispondere alla vera questione di una diversa politica sulla cultura e gli spazi diffusi e vuoti di Milano.
Macao-Torre Galfa promossa, Macao-Palazzo Citterio bocciata. Perché? E per quanto riguarda Macao-ex Macello?
La sensazione è che con l’occupazione di Palazzo Citterio sia prevalsa l’idea di una gestione autoriferita solo a Macao delle istanze di partenza, che invece erano potenti e si rivolgevano a tutta Milano. Mi sono chiesto perché, invece di accettare la sfida di un dialogo con il Comune (senza ipocrisie, senza paternalismi nostri o antagonismi da parte di Macao), si sia deciso di occupare un edificio storico che rappresenta finalmente una speranza concreta di rendere accessibile il patrimonio di opere di Brera. E lo stesso discorso vale per l’ex Macello. A meno che quella di Macao non sia diventata un’esperienza situazionista di mappatura mobile dei grandi vuoti a perdere di Milano. Se così fosse, sarebbe un’iniziativa importante e utile, che però non può concludersi ogni volta con un’occupazione stabile del sito liberato.
A suo parere, durante l’occupazione Macao, in che modo “le questioni aperte da cittadine e cittadini sono state ridotte a questioni di ordine pubblico”, come recita uno degli ultimi comunicati di Macao?
Il rispetto delle norme è un aspetto fondamentale del dialogo, ma deve essere un indirizzo di fondo, non una benda rigida che ci impedisce di capire come nelle grandi città del mondo ci debbano essere degli spazi anche per forme di autodeterminazione e autogoverno, quando pacifiche e fertili; di capire come questi spazi possano generare cultura e utilità sociale; e come sia importante per l’amministrazione pubblica seguirli e orientarli senza pretendere subito di riportarli entro un ordine dato a priori. Non bisogna mai dimenticarsi che nel 1947 il Piccolo Teatro di Milano nacque proprio a seguito dell’occupazione abusiva di spazi pubblici da parte di due ragazzi e dal dialogo subito instaurato con il sindaco di allora.
Ci saranno spazi all’OCA disponibili per il collettivo Macao?
Il progetto dell’Ansaldo non è nuovo, ci stiamo lavorando da ottobre, ma abbiamo voluto accelerare la sua presentazione per mostrare che questa amministrazione sa accettare la sfida posta da Macao. Il dialogo è aperto. Durante i primi giorni di apertura di OCA ho incontrato diversi rappresentanti del collettivo che hanno visitato gli spazi di via Tortona. Chi ha promosso l’esperienza di Macao rappresenta una risorsa culturale variegata e unica a Milano. In loro convergono esperienze che provengono dall’editoria, dall’architettura, dal mondo accademico, dalla letteratura, dall’arte contemporanea, dalle vicende dei centri sociali. Sarebbe un vero peccato se una realtà così variegata non si prendesse la propria responsabilità partecipando all’OCA e gestendone autonomamente uno degli spazi, al pari di molte altre realtà milanesi.
Ginevra Bria
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