Google goes to museum
L’anno scorso il Guggenheim di New York ha utilizzato YouTube per bandi, concorsi, premiazioni online e offline, proiezioni sulla facciata e manifestazioni di ogni tipo. Un bagno mediatico digitale teso a cavalcare le possibilità espressive della produzione audiovisiva della Rete e l’enorme possibilità di diffusione dei social network.
Quest’anno è Google a emergere a Roma (e ai Musei Capitolini) con un’operazione di taglio diverso. 151 partner s’incrociano in musei di culture e nazioni diversissime, dalla Nuova Zelanda alla Grecia, dall’arte classica a quella contemporanea. L’idea di arte che viviamo si vuole dedita al “relazionare” società diverse: in quest’ottica, l’iniziativa ha un carattere centrale, e risponde a criteri e problematiche aggiornate di gestione museale.
Art Project è una Google App Engine basata su Java ed è realizzata su infrastruttura Google. Redistribuzione di immagini e contenuti, navigazione nei musei, visione ravvicinata e ingrandimento, gestione delle immagini che mixa il poster, il bookshop, il documentario e altro ancora. Iniziativa interessante, ma che va confrontata con i precedenti in questa direzione. Ad esempio, negli Anni Novanta le ricostruzioni 3D di monumenti, città e altre nascenti sperimentazioni comunicative furono inseriti in una serie di interessanti iniziative sotto il cartello di Mediartech a Firenze. Fra i tanti progetti, notevole un tentativo di visita virtuale interattiva agli Uffizi. Buona la possibilità di movimento, buona la qualità della riproduzione fotografica di quadri e spazi, sensazione allora innovativa e inquietante di una “presenza virtuale” nel luogo.
Era il 1999. Siamo avanzati “di molto”? In parte sì, dato l’enorme sviluppo dei software e della diffusione informatica. Ma ciò che avviene è soprattutto la razionalizzazione di migliaia d’idee nate in piccole realtà sperimentali dagli Anni Ottanta a oggi. La realtà del rapporto museo/pubblico è cambiata, ma in modi diversi e contraddittori. La crescita d’informazioni, attrazioni, didattiche, relazioni culturali è stata in fondo incredibilmente lenta. È stata la tradizione secolare del museo a rallentare il suo sviluppo telematico? O il peso immobilizzante del copyright su immagini di leggendario carisma? Si attende ancora un collegamento fra le grandi ristrutturazioni che si muovono su piani ufficiali e la moltitudine di idee degli “artigiani digitali” che potrebbero portare realtà nuove nella fruizione estetica.
Lorenzo Taiuti
docente di arte e media – università la sapienza di roma
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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