Le nuove pratiche del documentario
Quando pensiamo a un documentario, comunemente pensiamo ai film trasmessi su canali come Discovery Channel o History Channel. In realtà il documentario è un campo molto più variegato e fatto di progetti di più ampio respiro. Lo ha raccontato il Berlin Documentary Forum.
Il Berlin Documentary Forum è un evento di quattro giorni, una biennale con proiezioni, conferenze, performance, lecture e una mostra, che a fine maggio hanno residenza nella futuristica cornice della Haus der Kulturen der Welt.
Il tema di questa edizione è stato il documentario concepito come costruzione del reale sulla base di linguaggi e sistemi differenti, che sottintende una tensione inerente al rapporto fra interpretazione e sistema semiotico, ovvero tra cultura e realtà. La vecchia concezione del documentario come “finestra neutrale” sulla realtà posta al di fuori del tempo e dello spazio cede gradualmente il passo a una nuova pratica rappresentazionale, la quale è in realtà guidata. Il festival pone dunque l’accento sulla coscienza e su un nuovo modo di riflettere criticamente sul documentario, che apre una serie di scenari tesi a raccontare la realtà comprendendo nella sua pratica letteratura, visual art, performance e teoria. Non c’è documentario che non sia artistico, intellettuale e politico nelle sue qualità; il documentario è una forma d’arte.
L’idea di un evento espanso, del quale noi non siamo spettatori esterni, bensì attori profondamente implicati nel processo di stabilire che cosa è reale nel Reale, occupa il centro del Berlin Documantary Forum 2012. Ospite con tre lecture, Silvère Lotringer interpreta il teatro della crudeltà di Artaud reindirizzando la riflessione sull’approccio occidentale contemporaneo al tema della morte. Già a partire dal primo giorno di festival, Lotringer mostra al pubblico cruente scene del crimine, prese a prestito dall’archivio privato di Johnny Esposito, tecnico video della polizia di New York, e mette in discussione il modo in cui l’esperienza digitale della morte e la tecnologia contemporanea impattino sul sistema giudiziario americano. Lotringer, in tutte e tre le sue lezioni, parla di universalità della morte e sottolinea che vita e morte, così come tutto il resto, continuano a mutare in modo imprevedibile; solo il vizio di attribuire antiche origini alle recenti abitudini collettive ci porterebbe a credere che siano esistite in questa forma da sempre.
Lightning over the Water mostra gli ultimi giorni di vita di Nick Ray, malato terminale di cancro, dal punto di vista di Wim Wenders che ha co-diretto il film. Proiettato e minuziosamente sezionato durante la lecture dal teorista francese, il docu-film stimola riflessioni e critiche non banali sul ruolo e l’interpretazione del regista tedesco, che qui, come Nick, è attore nel suo film, e solleva questioni etiche sull’intero progetto, il quale si è lentamente trasformato da documentario a fiction e dove è difficile distinguere tra l’omaggio all’artista e lo sfruttamento dell’artista stesso. La stessa crew del film si dispiega infine come il coro in una tragedia greca e la figura di Nick, qui analizzata con l’ausilio di strumenti concettuali tratti dalla psicanalisi lacaniana, diviene una figura potente dai bianchi capelli, un Padre simbolico morto prima della sua vera morte, che trasformato in una vittima passiva da Wim, provoca nel coro un senso vivo di colpa e di angoscia.
Catherine David cura la sezione di screening intitolata Blind Spot (omonima della mostra situata al primo piano della HKW) che ripropone lavori della fine degli Anni Settanta e Ottanta per condurci in un luogo di confine tra documentario e videoarte. Le Sphinx del franco-belga Thierry Knauff narra il massacro della guerra civile libanese nel campo palestinese di Shatila. Eliminando ogni riferimento visivo e con l’ausilio di frammenti di testo di Jean Genet, il regista tenta di svuotare l’immagine satura di quel tempo, proposta allora in maniera massiccia sulle televisioni di tutto il mondo, per sostituirla con un approccio puramente linguistico alla morte.
Gli eventi del festival si susseguono con brevi pause di mezz’ora per tutte e quattro le giornate e il dopocena è riservato alle performance. Il concerto dell’ensemble di William Tatge sul video Disquieting Nature di Christine Meisner, realizzato durante il suo viaggio nel 2010 nel delta del Mississippi, propone un blues astratto interpretato dalla profonda voce di LD Brown. La trascendente prospettiva visiva del fiume Mississippi diventa protagonista e testimone della natura ingannevole e colonialista del periodo del blues e con paesaggi desolati e surreali si riflette anche nel modo in cui il fiume è cantato nei testi.
In Foreign di Miriam Fassbender, la camera segue gli sforzi di Mohammed e Jacques, due giovani clandestini africani in viaggio verso l’Europa. Mohammed ha il ruolo principale in questo lavoro e le sue ambizioni e i suoi crolli emotivi sono seguiti e ripresi dalla regista in maniera discreta ma al contempo incisiva, in quella che risulta essere fin da subito una migrazione estenuante e fallimentare.
Ancora una volta, in questo festival la coscienza del pubblico viene scossa emotivamente sul ruolo del nostro Occidente che vive – per dirla con Žižek – “alla fine dei tempi” ma che continua, anche da malato terminale, a mietere le sue vittime.
Valentina Scotti
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