Maurizio Calvesi, i dilettanti e Caravaggio
Alla fine, qualcosa, sull’affaire Caravaggio-Peterzano, andava pur detto. E Artribune, che da subito ha ritenuto indispensabile tacere, lo fa ora affidandosi alle parole del professor Maurizio Calvesi, uno dei massimi caravaggisti del globo.
“L’annuncio del presunto ritrovamento di disegni del Caravaggio a Milano segnala un aspetto preoccupante della superficialità dei media, giacché è stata diffusa da giornali che un tempo avevano ciascuno un critico d’arte attendibile a cui rivolgersi in casi del genere”. Entra direttamente nel cuore della questione, il professor Maurizio Calvesi, che accetta di affidare ad Artribune – a mente semi-fredda – alcune lucide riflessioni sugli episodi che hanno caratterizzato la comunicazione dell’attribuzione a Caravaggio del corpus di disegni di Castello Sforzesco, e soprattutto la successiva “gestione” della notizia.
Già, perché l’affaire del Fondo Peterzano si presta senza dubbio ad aprire un dibattito nel merito, e Calvesi lo fa, qui sotto, da par suo. Ma si presta anche a riflettere sulle modalità scelte per l’annuncio, che si avvicinano più al sensazionalismo di certo giornalismo scandalistico che al rigore proprio della ricerca scientifica. E qui il problema non sta tanto nelle scelte personali, ma nel fatto che queste abbiano trovato grandi interlocutori – la prima agenzia stampa del paese, uno dei maggiori quotidiani, importanti telegiornali – pronti ad appoggiarle, superficialmente ed acriticamente, almeno si spera, senza tener conto dei danni che questo rischiava di comportare.
Tutto sembra esser stato pensato per funzionare al meglio secondo le regole attuali della comunicazione, fin quasi a perdere di vista, o comunque attribuendogli una valenza secondaria, l’oggetto della comunicazione stessa, in una vicenda che non stiamo in questa sede a ricostruire se non per sommi capi, essendo ormai di dominio pubblico. Il 5 luglio Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, ricercatori che il professor Calvesi più volte definisce “dilettanti”, rivelano via Ansa – che misteriosamente ci si butta con una vistosa “esclusiva” – di aver identificato la mano del giovane Caravaggio in un centinaio di disegni conservati nel fondo del pittore Simone Peterzano, fra i primi maestri del Merisi, custodito al Castello Sforzesco di Milano. Un annuncio fatto via agenzia, e non come prassi richiederebbe in un convegno internazionale, davanti ad altri studiosi in grado di analizzare e – perché no? – confermare la scoperta. Ma – si segua la sequenza temporale – il 6 luglio i due pubblicano via Amazon un ebook di 600 pagine dedicato all’attribuzione, che grazie al clamore mediatico ottiene un successo tale da mandare in tilt la libreria online. Tempi strettissimi, forse per evitare bastoni scientifici fra le ruote? Una conferma indiretta arriva oggi 12 luglio dal quotidiano Il Giorno, e riguarda le procedure autorizzative per la pubblicazione di opere: Fedrigolli sostiene di aver inoltrato la domanda per la pubblicazione e di non avere ricevuto risposte. Probabile, visto che il timbro postale della sua lettera porta la data del 4 luglio, ovvero la vigilia della pubblicazione dell’ebook…
Non procediamo oltre con una ricostruzione che disegna uno scenario che con la ricerca seria e scientifica non pare aver nessunissimo legame. Ma non possiamo che constatare con sconforto un risultato ottenuto dall’operazione, ovvero questi titoli affibbiati alla questione dalla stampa internazionale, che probabilmente danneggeranno indiscriminatamente tutta la classe storico artistica del Paese. “L’affaire Caravaggio, un’enorme bufala” (Le Figaro); “Amazon ritira il controverso libro su Caravaggio” (Telegraph); “Dubbi sui disegni attribuiti a Caravaggio” (New York Times); “I Musei Vaticani non credono nell’autenticità dei disegni” (El Paìs).
Procediamo invece oltre nel cercare di far luce sul “merito” della vicenda, e torniamo a dare la parola al professor Maurizio Calvesi. “Conosco benissimo, fin dal 1949, il cospicuo gruppo di disegni del Castello Sforzesco attribuiti al Peterzano. Certamente non sono tutti suoi e ve ne sono mischiati di più tardi come ad esempio la testa di vecchio attribuita dai due dilettanti a Caravaggio che è invece, come si è accorto subito Massimo Pulini, una copia dalla scultura della testa di Seneca risalente al 1620 o anche più tardi. Personalmente sono stato il solo a proporre con estrema cautela l’identificazione di uno dei disegni del gruppo del Castello Sforzesco con la mano del Caravaggio: si tratta di una figura di Angelo che ho pubblicato recentemente e che è quasi identica come iconografia e anche come forma alla figura dell’Angelo che sorregge San Francesco, nell’Estasi del santo stesso, dipinto conservato ad Hartford. Naturalmente i due dilettanti non conoscono questo mio scritto e mostrano di avere una idea della storia dell’arte da principianti basata su confronti assolutamente inattendibili e superficiali. Pertanto è senz’altro da escludere l’attendibilità delle loro attribuzioni, pur lasciando aperta la possibilità che tra queste centinaia e centinaia di disegni ve ne sia qualcuno eseguito dal giovane Caravaggio, ma che sarebbe tuttavia estremamente difficile riconoscere basandosi sui criteri che sono propri della storia dell’arte e cioè sull’osservazione dello stile, stile iniziale di Caravaggio che peraltro non conosciamo. I disegni proposti dai due principianti non sono assolutamente accettabili e alcuni sono di segno trascurato e mediocre, altri appartengono sicuramente ad una diversa e più tarda cultura come la già citata testa di Seneca e come il volto femminile che viene irresponsabilmente avvicinato al Cristo della Cena in Emmaus di Caravaggio”.
A cura di Massimo Mattioli (ha collaborato Alberto Dambruoso)
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