Palermo, oh santa! Primavera senza rose?
Il festino della Santa Patrona a Palermo? L’evento per eccellenza. Che nel degrado e nel torpore generale, ultimamente s’era spento pure lui. L’inviso ex primo cittadino, al riparo da fischi e sassaiole, nemmeno presenziava più. Oggi, si riparte. Il neoeletto sindaco Orlando confeziona una festa economica, che punta sul coinvolgimento. Tanti studenti, tanti volontari. Un mosaico un poco fragile di piccole iniziative, ma l’euforia è alta. Ottimismo? Speranza? Nell’attesa di un grande festival che riqualifichi l’agonizzante metropoli, mai abbassare la guardia. Tutto va bene? Ma quando mai…
C’è odore di festa, a Palermo. Anzi di Festino. Come da 388 anni, ogni torrido 14-15 luglio. Nulla di più galvanizzante, per il palermitano doc, delle celebrazioni in onore di Santa Rosalia, la pulzella coronata di rose che mise a morte la peste e dalla morte salvò il popolo stremato, qualche secolo fa. Metafora perfetta. Palermo, ancora oggi moribonda-pestifera-mortifera, invischiata nella propria bubbonica agonia. Palermo in attesa del miracolo, prima che il mare opaco se la inghiotta.
Ma non era sbocciata la primavera? In effetti sì. La politica dell’imprevisto ha spalancato i cancelli della speranza, consegnando la mesta polis nelle mani dell’osannato condottiero. Al sindaco avrebbero voluto farla la statua, quest’anno, da portare a spalla tra la folla: Leoluca Orlando, è lui l’arma segreta, l’antidoto alla peste, l’ultima chance da giocarsi al tavolo degli eterni perdenti, sperando di fare, per una volta, la mossa giusta. Leoluca dei miracoli.
Così, pare tutta una letizia diffusa, attendendo il trionfo pirotecnico della notte sacra, metafora di un incipit che a forza d’aspettarlo c’eravamo scordati d’essere sul punto di schiattare. Perché in questa cosa, noi siciliani, siamo bravissimi. Dimenticare. Pure quello che ti brucia tra lo spirito e la carne: cose come la fame, la paura, la disperazione. O come il fetore di monnezza, democratico arredo urbano che, a periodi, sommerge e idealmente congiunge case popolari e auguste dimore. Ce ne scordiamo, ci abituiamo, ci passiamo sopra. E tutto va bene, in fondo. Anche adesso, al netto dell’innegabile scossone politico, serpeggia un’euforia che rimane misteriosa.
La città non esiste. È immobile, spenta, schiacciata sotto il peso degli ultimi cinque anni di irresponsabilità governativa (da Lombardo a Cammarata, in un unico, tragico piano sequenza), della crisi nazionale ed europea, della cura Monti (Giano bifronte della Terza Repubblica, metà mostro e metà super eroe), del dissesto e della recessione: macigni che ci hanno ridotti al lumicino. Un lume talmente piccino che però, alla fine, ce lo siamo fatto bastare. E nella notte abbiamo imparato a vedere: come se quella fiammella fosse il sole, come se il buio fosse un’alba di primavera.
Il Festino? Potrebbe essere occasione per un evento internazionale, un festival con bravi artisti dei Paesi del Mediterraneo, che dia spazio alla ricerca contemporanea, tra arti visive, cinema, teatro, musica. Un modello di co-produzione che porti investimenti e turismo, oltre il folk vecchia maniera, oltre un’idea del sacro come intrattenimento popolare a buon mercato. Un giorno, chissà.
Oggi invece con questi (pochi?) 500.000 euro tirati fuori in corner, a soli due mesi dalla partita elettorale, non s’è potuto combinare granché. Il tema di quest’anno – perfetto – è Dedicato a chi fa miracoli. Con la solita scorpacciata di cabaret, cover band, musica etnica e rock, si opta per un mosaico di piccole iniziative locali. Austerity, ma in armonia: strategica gratificazione della meglio gioventù palermitana, per fare festa tutti insieme e riprendersi la città. Politicamente un senso c’è.
L’intellighenzia, intanto, pare felice di una felicità moderata, ma palpabile: Palermo è tremendamente freakettona e diligentemente di sinistra, per ora. La romantica primavera contagia tutti e tutti collaborano: qualcuno gratis, qualcuno no, ma quel che conta è la fede.
E allora non sarà il festival del Mediterraneo, ma qualcosa si fa. Per esempio c’è la danza contemporanea. Come ai tempi di Pina Bausch? Macchè, con 500.000 euro? Facciamo un flash mob sotto il solleone, di coppola muniti. Coreografia dell’ottima Giovanna Velardi, tramutata però in rituale collettivo, con le mosse da imparare e replicare. Villaggio turistico style.
E poi l’arte, certamente. Cominciando dalla Gam. A parte la bella mostra in corso di Adalberto Abbate, per l’occasione si arrangia un puzzle di micro-spot sul tema. C’è la pittura di quattro giovanissimi proposti da Alessandro Bazan, ci sono un po’ di decorazione e un po’ di design, con vesti auree in omaggio alla Santa e biciclette luminose, per santi d’oggi col pallino eco-tech. Mentre i personaggi del mondo del volontariato cittadino vengono sublimati in “santini” dagli allievi fotografi di Sandro Scalia: immaginette pop, coi loro miracoli di quotidiana beneficenza, da distribuire anche durante la sacra parata, quest’anno in chiave politically correct grazie alle corsie preferenziali per disabili.
Molti i latitanti. Riso? D’estate i dipendenti regionali vanno in ferie e i custodi, beati loro, a custodire il silenzio ci sono abituati. Lo Spasimo? Morto, probabilmente evaporato, l’avranno prelevato gli alieni. Sant’Elia? Niente festino per l’ormai mediocre mostrificio, che definire “di provincia” sarebbe un azzeccato gioco di parole: in assenza di un direttore, il programma lo fa la dirigenza provinciale. E infine Palazzo Branciforte. Un museo tutto nuovo, una fondazione bancaria, il restyling di Gae Aulenti, le collezioni antiche. E poi? Finora poco, a parte le ottime cene, i laboratori di didattica e un po’ di jazz. A gestire il pacchetto c’è Civita, che ancora forse aspetta il rodaggio. E attendiamo anche noi, confidando che la bella struttura non diventi un altro mausoleo.
Fondamentale è il carro, scultura sacra che l’arte torna a reinventare. Come quando lo progettò Kounellis? Eddai, sono sempre quei 500.000. Per stavolta ci teniamo il maestro Salvatore Rizzuti, storico docente di tecniche scultoree all’Accademia. Con lui gli studenti, esercito di volontari, sformano un’aggraziata Santuzza e alla fine salvano carro e corteo. Idea ingegnosa.
Finissage per canecapovolto e Zoltan Fazekas nel coworking space Neu, con una proiezione di video storici. Qui niente santi né omaggi alla città: si fanno un po’ i fatti loro i cani disobbedienti della video-sperimentazione catanese, sempre con quel pizzico di esprit underground.
Nel decadente Palazzo Costantino c’è La Peste, mostra che per soli due giorni mette insieme oltre cinquanta artisti, plotone di studenti, emergenti e qualche nome noto. Effetto calderone? Il rischio c’è. A prescindere dalla qualità dei singoli lavori, ci si chiede: che bisogno c’era? A Palermo, una mostra-lampo sulla realtà di Palermo, fatta da tutti i palermitani in blocco. Effetto ce la cantiamo e ce la suoniamo? Sì, da troppo tempo, ammettiamolo. Ma il palazzo è bello e l’evento è occasione per valorizzarlo, oltre che per denunciarne lo stato di degrado. Perché l’importante, come s’è detto fino alla nausea, è “aprire”.
Apriamo i teatri, apriamo i Cantieri Culturali alla Zisa, apriamo i musei, apriamo gli spazi abbandonati. Sacrosanto, almeno si tira via l’odore di muffa. Ma aprire per far cosa? L’Italia affonda, con in testa la Sicilia, e noi apriamo camminando su tappeti di rose. Budget per la cultura, a Palermo, pari a zero. La Regione? Ridotta a un teatrino del grottesco.
Così accade che la prima consulente di Orlando sia al lavoro – a titolo gratuito – su un progetto per un centro internazionale di fotografia ai Cantieri. Donna eccezionale, Letizia Battaglia, con i suoi ottant’anni d’esperienza e di passione, con la sua capacità di coinvolgere volontari, amici, supporter morali. Lei, Messia della Fotografia, camminerà sulle acque torbide della Zisa, riuscendo nel miracolo della moltiplicazione degli euro? Perché al momento, pare, di soldi manco l’ombra.
Al Teatro Garibaldi Aperto, intanto, si prova a intravedere un futuro. Che ne sarà degli occupanti, delle assemblee, degli spettacoli a budget zero? A oggi, tutto tace.
E tace Palermo, in questo pomeriggio d’estate rovente. Quaranta gradi, il Festino alle porte e un rumore sordo che pervade i muri, le strade, i pensieri.
Che queste pagine non evochino, però, il solito disfattismo, la solita disillusione. Il futuro è tutto da progettare. Certo, basterebbe una pacca sulla spalla, un sorriso e poi godersi la festa, facendo finta che sì, è di nuovo primavera. Ma le cose facili a volte sono insidiose. Ad assuefarci a quel lumicino, dimenticandoci della notte, ci mettiamo poco, noi altri. Per difesa? Per pigrizia? Per debolezza? È uguale. Una dose di realismo è quello che ci salverebbe, a noi palermitani. Che siamo figli di Guttuso, ma viviamo sempre con la capa per aria, a chiederci inermi “che cosa sono le nuvole”. Come pupazzi, gettati in un covo di monnezza, contempliamo il cielo e la straziante, meravigliosa bellezza che abbiamo avuto in sorte. Nell’attesa che il sipario cali.
Helga Marsala
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