Pierre Cardin e altre storie. Cambiare Venezia (e l’Italia) si può?
Contributo di Luca Nannipieri per Artribune. Gli attori sono più o meno sempre i soliti. Capeggiati da Italia Nostra e Salvatore Settis, per la “difesa” di tutto quello che è. E che tale deve restare. Lo spettro agitato è sempre quello della mercificazione. Il risultato? Un Paese mummificato.
Mummificare l’Italia. Sembra questo il gran desiderio di chi, come Italia Nostra, non accetta alcuna trasformazione sui nostri territori, sul paesaggio e sulle città, perché altrimenti il patrimonio storico-artistico e l’ambiente verrebbero sviliti o deturpati.
Il Palais Lumière che Pierre Cardin vorrebbe costruire a Marghera è solo l’ultimo caso per gridare allo scempio. L’opera, alta 250 metri, tre torri a vela di diversa altezza spezzate orizzontalmente da sei dischi di forma circolare distanti 35 metri l’uno dall’altro, è tutt’altro che una forma originale, ma disterebbe 10 chilometri dal centro di Venezia. 10 chilometri. Eppure per Italia Nostra è l’ennesima prova che – in virtù del profitto e del dio Denaro – l’Italia si sta svendendo l’anima, distruggendo le sue bellezze.
Salvatore Settis su La Repubblica (31 luglio) scrive addirittura che “c’è una moda tra i potenti: profanare Venezia”, “oltraggiare Venezia non è una conseguenza non prevista, ma il cuore del progetto”. Tomaso Montanari sul Fatto quotidiano ci è ritornato più volte: “Quella Showroom chiamata Venezia. Pinault, Prada, Benetton. Così i marchi della moda si spartiscono la città” (7 marzo). A ruota, sulla stessa linea di pensiero, sono seguiti Vittorio Emiliani su L’Unità, Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera (“queste navi da crociere uccidono Venezia”), e gli appelli di Italia Nostra che oramai non si contano più. Uno degli ultimi testualmente dice così: Venezia “è oggetto di attacchi senza precedenti nella storia. Tav, metropolitana sublagunare, porto off-shore, polo-logistico, grattacieli, alberghi di ogni tipo, centri commerciali. In palio c’è la mercificazione della città, destinata a diventare un parco divertimenti per turisti mordi e fuggi, con un centro soffocato da milioni di turisti e un hinterland che vuole far posto a progetti che stravolgeranno la natura e l’immagine della laguna”.
Uscendo da Venezia, hanno cercato di bloccare la costruzione di un auditorium a 200 metri dalla Cappella degli Scrovegni a Padova, perché l’edificazione di questo auditorium minacciava la falda freatica sopra cui sta la cappella affrescata da Giotto (Chiara Frugoni, Sole24 ore, 19 febbraio); hanno cercato di bloccare il sottoattraversamento della TAV a Firenze perché vi sarebbero “gravi danni al patrimonio urbano, monumentale e storico artistico della città, tali da generare anche costosi contenziosi” (Italia Nostra, 17 febbraio).
Cosa se ne deduce da simili appelli? Che mummificare l’Italia è il loro gran desiderio. Che vederla immobile, congestionata nella sua deprimente e opprimente tutela, è il loro gran desiderio. Per fortuna, chi contraddice questi pensieri non è un affarista in vena di profitto: è la storia stessa. Sono almeno tre millenni di vita umana che contraddicono una tale visione. Da sempre le città sono realtà trasformate e da trasformare. Da sempre i loro confini, le loro identità, le loro mura, i loro palazzi, i loro perimetri sono stati ridiscussi, abbattuti, ritrascritti, riveduti, perché non esiste una conservazione che si antepone alla vita, se non a patto di sopprimerla, di renderla irrespirabile, appunto mummificata. Le bellezze sono da sempre bellezze contese, comprate, vendute, contrattualizzate, oggetto di affari, profitti, guadagni, perché dove non ci sono guadagni e profitti non c’è attività umana.
Il Palais Lumière di Pierre Cardin, che andrà a bonificare un’area di 175mila mq adesso piuttosto disagiata, non è l’ennesimo caso di scempio tanto ostacolato da Italia Nostra. È l’ennesima riprova che la linea d’orizzonte di un territorio è sempre continuamente rivedibile, che non esiste una Firenze rinascimentale, una Mantova rinascimentale, una Lucca medioevale, ma ogni città ridisegna continuamente la propria contemporaneità, il proprio rapporto con il presente, alterando le sue forme, perché come scrive la studiosa Mariella Zoppi: “Senza la continuità della vita, della quotidianità, e la continua opera degli uomini che abitano i territori non ci può essere nessun valore condiviso e trasmissibile di paesaggio. Senza le attività della gente il paesaggio si paralizza”.
Tutte le più grandi città sono diventate più affascinanti e moderne dopo che vi sono state costruite opere disturbanti, che rompevano la visione ormai acquisita degli spazi. La Sagrada Familia ha scomposto il baricentro di Barcellona in mezzo secolo, mettendo in discussione la centralità della cattedrale della Santa Croce e Sant’Eulalia. Sempre a Barcellona, la Torre Agbar ha trasformato il profilo della città. La stessa cosa è accaduta con la Torre Eiffel, costruita in soli due anni, dal 1887 al 1889, non a 10 chilometri dal centro di Parigi, ma nel cuore stesso della città, “profanando” – per usare il lessico settisiano – lo slancio della cattedrale di Notre-Dame. Di recente anche il nuovo Palazzo della Giustizia di Firenze ha frantumato lo skyline della città del Rinascimento, ponendosi – seppur solo sfondo – come rottura moderna, antitetica, spigolosa alle movenze della Firenze eterna che conosciamo.
Queste opere disturbanti non hanno profanato nient’altro se non il nostro eccesso di quiete nella comprensione del passato e del presente.
Dunque, bloccare Pierre Cardin perché distrugge Venezia? Sciocchezze. Bloccare Pierre Cardin perché, come sostiene Italia Nostra, ci farebbe uscire dai patrimoni Unesco? Magari. Venezia farebbe benissimo a meno di chi la vuole imbalsamata e di chi la vuole protetta in nome dell’umanità.
Luca Nannipieri
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