Ridateci i principi
Ridateci i prìncipi, quelli con l'accento sulla prima i. Detto in senso sarcastico, soprattutto. Detto per identificare quei politici, presidenti e amministratori che, nella coda ultima degli Anni Novanta e soprattutto negli Anni Zero, intrapresero grandi iniziative nel campo della cultura per puro tornaconto elettorale, politico, di visibilità. Di narcisismo. E di posizionamento.
Ridateci quei politici che utilizzavano (sì, utilizzavano!) la cultura, i musei, le mostre per farsi belli nei confronti del resto d’Italia e del mondo. Li abbiamo criticati fino alla morte e oggi ne conserviamo un ricordo opaco, grigio, talvolta appassito. E invece…
E invece non abbiamo tenuto conto che, in effetti, almeno in Italia, i potenti hanno sempre fatto così, da Lorenzo il Magnifico in giù: utilizzando l’arte come grimaldello per generare allure, per promuovere marketing di se stessi, per far status attorno al proprio nome. A proposito di nomi, forse è il caso di iniziare a farne qualcuno. Forse è il caso di rispondere alla domanda: chi erano i prìncipi? E cosa facevano? E, ecco il punto, ecco la pietra di paragone, cosa sta succedendo ora che i prìncipi non ci sono più e che, forse, non avrebbero neppure le risorse per esistere?
Erano ben dislocati su tutto il territorio nazionale, i prìncipi. Dal nord al sud, passando per il centro. Prendete Riccardo Illy, il governatore della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia: si inventò il centro d’arte contemporanea di Villa Manin. Un progettone dotato di staff, idee, soldi e soprattutto di un contenitore che dire iconico è dire poco. A dirigerlo chiamò Francesco Bonami e Sara Cosulich Canarutto, oggi al comando di Artissima. Ora Villa Manin c’è ancora, ma è stata trasformata in una location per mostre, in affitto di fatto. Peraltro dopo mille umilianti vicissitudini. Dunque, era condannabile la grandeur di Illy o forse la situazione di oggi è un po’ peggio?
Passiamo a sud: Napoli è storia esemplare per definire l’epopea dei prìncipi. Vi dice nulla il nome di Antonio Bassolino? Il suo era un regno, un’oligarchia, una dittatura. Dite quel che vi pare, ma la metropoli campana rinacque per davvero. Era percepibile a occhio nudo. L’arte in Piazza Plebiscito c’era e ora non c’è più. Il Pan c’era e ora non c’è talmente più che l’Amaci, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, ha dovuto cacciarlo via dal novero dei soci. Il Madre c’era e praticamente, per il momento, non c’è più manco lui: vedremo se in un modo o nell’altro riusciranno a salvarlo per il rotto della cuffia. Mille difetti, per carità, mille errori: ma qualcuno, oggi, nel nostro settore, si ricorda anche solo il nome del governatore della Regione Campania? Vi sfugge, eh?
Andiamo oltre. A Roma, la capitale del Paese, le cose andavano più o meno alla stessa maniera, in quegli anni. Walter Veltroni impose talmente la sua visione delle faccende culturali che certe devianze vennero sprezzantemente bollate come “veltronate”. E un certo atteggiamento divenne “veltronismo”. Intanto in città l’aria profumava di una energia tale per cui dal 2002 in poi iniziarono a nascere forse più di cento gallerie d’arte.
Meglio, in quegli anni, faceva solo Berlino (chiaramente su standard di qualità un filo più elevati, ma questo è un altro problema). Si progettava un museo d’arte contemporanea a settimana; quando nacque il Museo Bilotti fu praticamente una sorpresa. Un museo in più, un museo in meno… cosa vuoi che sia! Quando Veltroni arrivò all’eccesso di far nascere un festival del cinema in smaccata concorrenza con quello di Venezia, le critiche non mancarono, ma davvero oggi pensiamo di essere messi meglio rispetto all’epoca dei prìncipi? Proprio in queste settimane in cui il Festival di Roma rischia di scomparire (o per lo meno di perdere la faccia) a causa del pressappochismo e della strafottenza politica di gente come Alemanno Gianni e Polverini Renata?
La questione andrebbe analizzata con maggior calma e distacco. Siamo in questa condizione, oggi, a causa dell’atteggiamento troppo disinvolto o personalistico dei prìncipi? O i prìncipi sono stati gli ultimi ad avere interpretato la crescita artistica e culturale del Paese nell’unico modo in cui questa crescita può palesarsi?
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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