WordPress è la più importante piattaforma di blogging al mondo. Sia nella versione hosted (wordpress.com) che nella versione open source (wordpress.org). Ha conquistato non solo milioni di privati, ma anche centinaia fra imprese, organizzazioni, editori come TED, Techcrunch, CNN, Boingboing. La filosofia di WordPress è semplice: scrivere codice non è solo un atto tecnico, ma è un atto creativo, come la poesia. Non è un caso che la tagline di WordPress sia “Code is poetry”.
Lev Manovich è uno studioso di media digitali molto attivo, famoso in Italia per il libro Il linguaggio dei nuovi media, in cui mescola arte, design, tecnologia. Attualmente il percorso di ricerca è approdato a quello che lui chiama la cultural analytics, ovvero la capacità di applicare sofisticati strumenti software all’analisi degli oggetti culturali. Al momento si sta occupando di immagini con il progetto Imageplot, un software gratuito che consente di analizzare enormi collezioni di immagini alla ricerca di pattern cromatici o di altro tipo. La bellezza è nell’occhio di chi guarda, ma anche nell’occhio di chi analizza, interpreta.
Google è il motore di ricerca più importante, ma non solo. Ha anche una serie di esperimenti che servono per testare nuovi modi per accedere alle informazioni. Come il progetto Google books ngram viewer. Il progetto prende le mosse dal processo di digitalizzazione dei libri Google Books, frutto di accordi con case editrici e uso di libri ormai non più protetti dal copyright. Google ngram non è altro che uno strumento che consente di visualizzare il ciclo di vita delle parole e analizzarne nascita, successo e – se capita – morte. Provate a fare una ricerca con <religion> e <science>: il processo di secolarizzazione si materializzerà davanti a voi. Secondo alcuni, Google ngram ha inaugurato un nuovo settore di studi, la culturomics, ovvero la ricerca di trend culturali mediante l’analisi di enormi database di libri digitalizzati.
WordPress, Imageplot, Google ngram. Cos’hanno in comune? Tre cose.
Primo. Sono forme simboliche del software. Una filosofia di programmazione, una strategia di rappresentazione, un modello di analisi.
Secondo. Sono basati su un numero enorme di dati. Milioni di righe di codice, collezioni di migliaia di immagini, milioni di libri digitalizzati.
Terzo. Sono strumenti computazionali pensati per la cultura. Per democratizzare l’accesso alla rete, per analizzare uno stile artistico, per studiare ascesa e declino delle parole.
Cosa diventa la cultura guardandola con gli occhi del software? Un dato in attesa di essere ingegnerizzato. È accaduto per la logica (computer), è accaduto per le relazioni sociali (social network), accadrà anche alla componente simbolica. È solo questione di tempo.
Il progetto dell’humanitas dell’ora et labora è diventato computa et labora. Non perderemo l’umanità: saremo diversamente umani.
Davide Bennato
docente di sociologia dei media digitali all’università di catania. autore del blog tecnoetica
www.tecnoetica.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati