Bisazza: mosaici per eccellenza
Per arrivarci bisogna superare una gincana urbana ed estetica. Uscita Montecchio Maggiore, sulla A4, verso Venezia. Un mix di rotatorie con parcheggi, cartelli di spa, srl, snc, forse anche lap dance e ferramenta. Una sorta di haiku contemporaneo nel mitico Nordest. A pochi metri si apre, bordata e bardata di verdissimo quanto altissimo bambù, un’isola contemporanea…
In questa follia isterica di sovrapposizioni, in uno dei territori più industriosi e attivi del mondo, c’è l’headquarter di Bisazza. Sempre lo stesso, da cinquant’anni. Se oggi a New York o Tokio un architetto fa un capitolato di spese per un hotel o una casa, scrive “Bisazza or similar”. Un successo cresciuto negli ultimi dieci anni, quando Piero Bisazza prende in mano l’azienda, intriso di cultura umanistica e artistica. Uso di mondo e visione.E trasforma così una commodity come il mosaico in una narrazione contemporanea con le campagne adv di Araki e le tantissime collaborazioni, da Studio Jop a Marcel Wanders (dei bei tempi), da Chia, Novembre, Putman a Mendini.
La sede è diventata così uno spazio culturale avanzato, fra arte, design e fotografia. E qualche settimana fa hanno inaugurato la Fondazione su 7.000, incredibili, metri quadri, con una mostra e una lecture di John Pawson, curata dalla neodirettrice, la brillante Maria Cristina Didero.
Ma non è questo il punto. È aprire oggi uno spazio per il contemporaneo. Oggi, nel 2012. Con collaborazioni internazionali. Con un programma a 24 mesi. Con una direttrice giovane. E inoltre, se non bastasse, farlo lontano dal glam e dagli apparati mondano-mediatici delle capitali. Più semplice a Milano, New York o Miami. È una storia importante. Ci fa vedere che gli imprenditori visionari ci sono ancora. Gente che torna a credere e pensare che si possa ancora costruire nelle nostre sperdute province. Che si possa ripartire da lì. Da quello che siamo. Dalle nostre identità, provinciali. Straordinarie.
In un mondo globale e connesso, dove tutto più o meno è uguale, possiamo scommettere sulla nostra diversità. E nutrirla con la contemporaneità. Ma dobbiamo distribuirla nel mondo, altrimenti muore. Non è una questione di soldi, solamente, ma soprattutto di testa.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda – politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
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